Una tassa sul fumo per pagare nuovi farmaci oncologici. Ci sta pensando il ministro della Salute Beatrice Lorenzin su impulso dell’Aiom, l’associazione dei malati oncologici, che da tempo ha chiesto, allo stesso ministero, la creazione di un fondo speciale per i nuovi medicinali anti cancro. Il premier Matteo Renzi ha smentito la notizia nel corso di una trasmissione televisiva ma resta comunque un nodo da sciogliere: dove prendere le risorse economiche per pagare le nuove cure? Nel 2015 gli anti tumorali sono costati al Ssn 4,2 miliardi di euro, oltre il 7% in più dell’anno prima: una tassa di scopo sul fumo permetterebbe allo Stato di incassare 700 milioni di euro considerata la “platea” di 10 milioni di fumatori italiani che acquistano in media un pacchetto al giorno.
Spazio alle alternative più economiche
E comunque la tassa di scopo avrebbe il duplice effetto di creare una certa liquidità per lo Stato e scoraggiare i fumatori che si troverebbero a pagare 20 centesimi in più per un pacchetto di sigarette. Stando così le cose, la richiesta di alternative più economiche e magari anche a impatto più basso per la salute potrebbe aumentare. Alternative che non mancano, a partire dalle sigarette elettroniche per finire alle nuove nate in casa Philip Morris, le sigarette senza combustione iQOS. In entrambi i casi si tratta di prodotti meno costosi rispetto alle sigarette tradizionali: aldilà del prezzo iniziale d’acquisto del dispositivo, per le ricariche la spesa è intorno ai 5-6 euro e durano circa una settimana. Dunque, nonostante la tassazione sulle sigarette elettroniche sia maggiore rispetto a quelle tradizionali, il guadagno economico dei fumatori è certo.
Sulla sicurezza studi controversi
Sulla loro sicurezza la partita è ancora tutta da giocare: il motivo principale riguarda l’assenza di dati epidemiologici utili a quantificare i rischi legati all’uso della sigaretta elettronica considerato che per averli sono necessari almeno 30 anni e la commercializzazione di questi prodotti è recente. Sui possibili rischi per la salute, l’Istituto superiore di sanità, come l’Organizzazione mondiale della salute, distingue nettamente tra i rischi cardiovascolari e quelli di natura oncologica: almeno per i dispositivi che contengono nicotina, gli effetti dannosi sul sistema cardiocircolatorio sono noti perché associati, appunto, alla presenza della sostanza eccitante e vanno dall’aumento della pressione arteriosa a quella della frequenza cardiaca. Discorso a parte va fatto per gli aromi utilizzati.
Si tratta di aromi ampiamente utilizzati, come la vaniglia, nell’alimentazione. E tuttavia, se è vero che nel loro impiego comune non sono mai stati riscontrati rischi per la salute, non sono ancora noti gli effetti che possono scaturire aspirandoli e non è escluso che possano essere anche di natura cancerogena. Secondo i ricercatori del Cnr che hanno analizzato gli effetti neurochimici e comportamentali dei vapori di nicotina assunti attraverso la sigaretta elettronica considerandoli “non trascurabili”, “le sostanze aggiunte nel vapore di nicotina delle sigarette elettroniche non sono note né codificate motivo per cui sarebbe necessario predisporre regole e controlli, affinché le sigarette elettroniche rappresentino una vera alternativa al fumo di sigaretta convenzionale piuttosto che un pericolo ancora ignoto”. Dalla Gran Bretagna, invece, sull’argomento arrivano studi di tenore differente: a luglio di quest’anno l’Agenzia di Sanità pubblica inglese ha detto che il vaping (il fumo elettronico) è molto meno dannoso di quello delle sigarette e le sigarette elettroniche possono aiutare molti fumatori a smettere.
E l’Iss è ferma sulle iQOS
In Italia, invece, la ricerca pubblica è ancora ferma. Colpevolmente ferma. Anche sui prodotti più nuovi che, proprio per queste incertezze, non possono definirsi “a rischio ridotto”. È il caso sigarette senza combustione iQOS.
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In questo caso si tratta di una combinazione tra un dispositivo elettronico e un minipacchetto di sigarette con tabacco vero, ma studiato per non bruciare, emanando calore grazie al semplice riscaldamento.
A gennaio di quest’anno l’Istituto superiore di sanità aveva annunciato al Test-Salvagente l’avvio di alcuni studi per verificare la sicurezza ma ad oggi queste ricerche non sono ancora partite. Si tratta di risultati imprescindibili per valutare, anche in questo caso, la pericolosità o meno dei liquidi.
Mentre le aziende, come la Philip Morris, questi studi li hanno realizzati e su questa base sarebbero pronti a dichiarare il rischio ridotto, manca l’avallo della scienza pubblica. E i ritardi, quando si parla di vite umane, pesano eccome.