Il 70% della biomassa degli uccelli del pianeta è pollame da allevamento. Solo il 30% è costituito da specie selvatiche. Basterebbe questo dato impressionante, contenuto nel report del Wwf, per capire l’importanza della campagna #Food4Future per ridurre drasticamente il consumo di carne e chiedere maggiore trasparenza di etichette e maggiori regole per allevamenti integrati nel ciclo biologico naturale. Il report “Dalle pandemie alla perdita di biodiversità. Dove ci sta portando il consumo di carne” viene lanciato da Wwf alla vigilia del Pre Summit Food (il cui avvio dei lavori è previsto per lunedì 26 luglio a Roma).
L’associazione ambientalista scrive: “Di tutti i sistemi umani che utilizzano a proprio beneficio le risorse naturali, il maggior responsabile della crisi ecologica che stiamo affrontando è quello alimentare. In primis la filiera della carne di cui gli allevamenti intensivi sono da soli responsabili del 14,5% delle emissioni totali di gas serra, utilizzano circa il 20% delle terre emerse come pascolo e il 40% dei terreni coltivati per la produzione di mangimi. Gli animali commerciati o allevati insostenibilmente sono, inoltre, pericolose fonti di malattie zoonotiche, gravi minacce per il Pianeta e per la nostra stessa specie”.
Il pianeta “allevato”
Negli ultimi 50 anni i consumi di carne hanno subito un netto incremento a livello globale, tanto che oggi nel mondo il 70% della biomassa di uccelli è composto da pollame destinato all’alimentazione umana. Solo il 30% sono invece uccelli selvatici. Ogni anno vengono macellati a scopo alimentare 50 miliardi di polli, di cui circa il 70% allevati in maniera intensiva. Tra i mammiferi, le proporzioni sono ancora più impressionanti: il 60% del peso dei mammiferi sul Pianeta è costituito da bovini e suini da allevamento, il 36% da umani e appena il 4% da mammiferi selvatici. La quantità di carne prodotta è oggi quasi cinque volte maggiore di quella dei primi anni ‘60: in media nel mondo oggi si consumano 34,5 kg di carne a testa l’anno, ma con grandi differenze tra i Paesi. In Italia il consumo medio è di quasi 80 kg a testa quando 60 anni fa erano appena 21 kg. A livello produttivo, l’Italia, con 23 milioni di capi allevati, è quarta in classifica in UE per numero complessivo di capi. Ogni 100 abitanti, ci sono circa 11 mucche, 14 maiali, 11 pecore e 1,75 capre.
Ripensare il sistema alimentare globale
Secondo Isabella Pratesi, Direttore Conservazione di Wwf Italia, “Il sistema agroalimentare porta nelle nostre case i frutti del lavoro di centinaia di milioni di persone in mare e a terra e i benefici di ecosistemi vicini e lontani. Il cibo è il sapore della vita per miliardi di persone. Eppure proprio questo sistema, entrato negli ingranaggi voraci di sistemi economici ed industriali globali, si è trasformato in un letale nemico di foreste, oceani, biodiversità e, non ultimo, della nostra stessa salute.” afferma Isabella Pratesi, Direttore Conservazione di WWF Italia “La nostra stessa sopravvivenza su questo Pianeta ci pone oggi l’obbligo – prima che sia troppo tardi – di ripensare il nostro sistema alimentare globale a partire dagli allevamenti intensivi”.
Danni per la nostra salute e quella del Pianeta
Una grandissima parte delle malattie infettive che hanno afflitto e affliggono l’uomo – tra cui il COVID-19 – sono trasmesse dagli animali. Il 60% delle malattie infettive umane e circa il 75% di quelle emergenti, che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni (come la malattia del Nilo occidentale, la Sars, l’influenza suina A H1N1), sono di origine animale. Oltre il 50% degli antibiotici utilizzati globalmente è destinato all’allevamento animale e al settore veterinario, rappresentando un fattore di rischio per la selezione e diffusione di batteri resistenti. Oggi, in Europa 1/3 delle infezioni è causato da batteri resistenti agli antibiotici . Purtroppo, il nostro Paese detiene il triste primato nel contesto europeo, della mortalità per antibiotico-resistenza con il 30% dei decessi totali dovuti a batteri resistenti.
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L’impatto sul cambiamento climatico
Un altro notevole impatto degli allevamenti è quello sul cambiamento climatico. Nel comparto agricolo, tra i maggiori responsabili della produzione di gas serra ci sono gli allevamenti intensivi che generano il 14,5% delle emissioni totali. Le emissioni di azoto causate dagli allevamenti sono un terzo di quelle prodotte dall’uomo. A livello europeo, la produzione agricola è responsabile del 12% delle emissioni di gas serra: la maggior parte di queste emissioni – oltre il 60% – deriva dagli allevamenti, in particolare dal bestiame bovino. Inoltre, in Italia gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento da polveri sottili, preceduti solo dal riscaldamento degli edifici.