
Tante le bottiglie più famose e vendute in Italia finite nella parte bassa della classifica degli champagne della rivista dei consumatori francesi Que Choisir. A vincere, invece, nomi poco conosciuti. E sul prosecco italiano…
Un bel botto per gli champagne più rinomati e conosciuti anche al di qua dei confini francesi. E non ci riferiamo a quello prodotto dal tappo al momento di aprire le costose bottiglie, ma al rumore che ha fatto la caduta di marchi blasonati nel consueto test condotto in Francia da Que Choisir.
Nella lista delle 32 bottiglie assaggiate da una commissione di esperti transalpini va detto subito che neppure una ha superato i 15 punti su 20. Non solo, per trovare i marchi più conosciuti anche in Italia si deve scendere parecchio nella classifica: al ventiduesimo posto per il Veuve Clicquot Carte Jaune Brut (11,5/20), al ventiquattresimo per il GH Mumm Cordon Rouge Brut (11/20), al ventiseiesimo per l’iconico Moët & Chandon (10/20).
Insomma una débâcle su cui sarebbe bene riflettesse chi in Italia vuole investire sulle bollicine francesi. Agli appassionati non resta che indicare le 4 bottiglie che hanno meritato tra 14 e 15 punti su 20 da Que Choisir, anche se si tratta di etichette non proprio diffusissime in Italia.
Con 15 punti, si piazza in cima una bottiglia da 20 euro (questo il costo in Francia), il Jonot Frères Rencontre extra brut, mentre 14 punti su 20 merita un terzetto di champagne:
il biodinamico Hugues Godmé Jardins premiers La réserve (in Francia costa mediamente 38,50 euro) e i meno cari Pierre Bertrand Premier cru brut e Rédempteur Tradition brut entrambi tra 22 e 25 euro.
Se lo champagne piange il prosecco non ride
Tornando dentro i nostri confini, la situazione del prosecco italiano non è che sia molto migliore, ma va detto che il test appena condotto dal Salvagente è stato assai più impegnativo di quello dei cugini francesi.
Il Salvagente ha infatti tralasciato completamente la prova di assaggio, concentrandosi nell’analisi in laboratorio 15 bottiglie di prosecco di marchi noti e della grande distribuzione, rilevando residui di pesticidi e Pfas in tutti i campioni. Pur restando sotto i limiti di legge per i singoli pesticidi, in alcune bottiglie sono stati trovati fino a 10 principi attivi diversi, un dato che riaccende i dubbi sull’“effetto cocktail” di più sostanze chimiche assunte insieme. Non sono emerse differenze significative tra prosecco Doc e Docg.
L’aspetto più critico riguarda però la presenza diffusa e consistente di acido trifluoroacetico (Tfa), un metabolita dei Pfas legato all’uso di pesticidi fluorurati. Tutti i campioni ne contengono quantità elevate, con valori compresi tra 38mila e 60mila ng/l, livelli superiori agli obiettivi di qualità proposti per l’acqua potabile dall’Istituto superiore di sanità e recepiti dalla normativa italiana, che diventeranno vincolanti dal 2027.
Secondo gli esperti citati, l’aumento del Tfa nei vini è coerente con il crescente impiego di pesticidi fluorurati negli ultimi anni. Sebbene il consumo occasionale non implichi un rischio acuto immediato, l’esposizione ripetuta, sommata a quella proveniente da acqua e altri alimenti, solleva preoccupazioni per possibili effetti cronici sulla salute. Proprio per questo, nel test nessun prosecco ha ottenuto valutazioni superiori alla sufficienza.










