
L’Ue vieta la cianammide ma continua a esportarla in Sudafrica, dove i lavoratori agricoli denunciano gravi rischi sanitari. Le Ong locali accusano Bruxelles e il governo sudafricano teme ricadute economiche sul settore vinicolo
La cianammide è troppo tossica per essere usata nei campi europei da più di quindici anni. Eppure continua a partire dai porti del Vecchio Continente verso i vigneti del Sudafrica, dove migliaia di lavoratori la maneggiano senza protezioni adeguate. Una contraddizione che le ONG definiscono “uno scandalo dei diritti umani” e che mette Bruxelles di fronte alle proprie responsabilità politiche e commerciali. È quanto ha documentato la giornalista Alice Bergoënd in un articolo uscito per Euractiv l’1 dicembre scorso.
Un pesticida vietato dal 2009
La cianammide, sostanza attiva impiegata in prodotti come il regolatore di crescita Dormex, è stata bandita nell’UE nel 2009 per la sua elevata tossicità, associata anche a rischi di cancerogenicità e infertilità. Tra gli agricoltori dei Paesi caldi o a inverni brevi, però, resta uno strumento molto diffuso: accelera la ripresa vegetativa delle viti e garantisce rese più omogenee, rendendola particolarmente appetibile per i produttori sudafricani.
Il divieto europeo non si applica, come spesso accade in questi casi, alle esportazioni. Così, mentre gli agricoltori europei non possono usarla, i colossi della chimica – tra cui BASF e Alzchem – continuano a venderla all’estero. Secondo un rapporto citato da Euractiv, nel solo ultimo anno sono state inviate quasi 7.000 tonnellate di prodotti agricoli contenenti cianammide, soprattutto a Paesi a basso e medio reddito come Sudafrica, India e Perù.
Lavoratori esposti senza informazione né protezioni
Nelle campagne sudafricane, giornalisti e ONG hanno documentato pratiche che in Europa sarebbero illegalissime: lavoratori che maneggiano Dormex senza guanti, mascherine o tute, spesso sotto pressione dei datori di lavoro e senza essere informati dei rischi. In diversi vigneti sono stati segnalati danni ai polmoni attribuiti all’esposizione.
Le comunità agricole hanno iniziato a protestare, chiedendo uno stop immediato alle importazioni. “È un veleno che non sarebbe mai usato in Europa, ma che finisce sulle nostre mani e nei nostri polmoni”, denunciano i rappresentanti dei lavoratori.
Pretoria tra prudenza e pragmatismo
Il ministero sudafricano dell’Agricoltura ammette apertamente che la cianammide “pone rischi per la salute umana”. E promette di accelerare l’approvazione di alternative più sicure, tra cui l’etanolo e lo zolfo, non appena le aziende presenteranno le richieste.
Allo stesso tempo, però, il governo teme un contraccolpo economico. Il settore vinicolo rappresenta circa l’1% del PIL e secondo il ministero “i coltivatori dipendono fortemente dalla cianammide”, perché le alternative attuali sono meno efficaci nelle condizioni climatiche del Paese. Un eventuale bando immediato, avverte Pretoria, “colpirebbe duramente il settore”.
E intanto il mercato cresce: ad agosto le esportazioni di vino sudafricano sono aumentate dell’11,5% su base annua, dirette soprattutto verso Regno Unito, Germania e Paesi Bassi.
Bruxelles in stallo da cinque anni
La contraddizione europea è evidente: ciò che è considerato troppo pericoloso per i cittadini dell’Unione continua a essere esportato verso Paesi dove i lavoratori agricoli hanno spesso meno tutele. Nel 2020 la Commissione aveva promesso di “dare l’esempio” vietando l’export di pesticidi vietati in Europa. Ma da allora non è stata introdotta alcuna misura concreta.
La realtà, fotografata da una indagine di Unearthed e Public Eye, porta alla luce numeri impressionanti e davvero lontani dalle promesse: nel 2024 l’Europa ha notificato l’intenzione di esportare circa 122.000 tonnellate di prodotti contenenti 75 sostanze vietate nei propri campi agricoli.
Oggi Bruxelles parla di un tema “complesso”, con ricadute sul commercio internazionale e sulla competitività dell’industria chimica europea. Un portavoce ha confermato che sono in corso la revisione di una consultazione pubblica e di uno studio del 2023, mentre una futura valutazione d’impatto potrebbe portare – forse – a un’azione politica.
Nel frattempo, l’esecutivo europeo rivendica che “i consumatori dell’Ue sono completamente protetti” da residui dannosi nei prodotti importati, come il vino sudafricano. Ma nulla dice sul prezzo pagato da chi quei prodotti li coltiva.
Il vuoto che altri sono pronti a colmare
Secondo la Commissione, un eventuale stop europeo aprirebbe la strada ai concorrenti internazionali, in particolare alla Cina, pronta a sostituirsi ai produttori europei. Pechino – osserva Bruxelles – applica standard ambientali e del lavoro molto meno severi, e questo complicherebbe ulteriormente la situazione.
Così la promessa di porre fine all’export di sostanze pericolose resta sospesa, mentre nei vigneti sudafricani la prossima stagione di trattamenti si avvicina e le proteste crescono.









