Sugar tax, il Regno Unito rilancia mentre l’Italia rinvia ancora

SUGAR TAX

Il Regno Unito estende la sugar tax alle bevande a base di latte e ai caffè pronti, spingendo le aziende a riformularle. In Italia, invece, la rimanda per la nona volta, bloccata dalle pressioni industriali nonostante l’emergenza obesità

In Italia la sugar tax è diventata una barzelletta. Nel Regno Unito, invece, non solo la tassa sulle bevande zuccherate resta in vigore e ha dato risultati concreti, ma viene addirittura estesa alle bevande a base di latte, nonostante il braccio di ferro con l’industria. Due mondi opposti, due scelte politiche agli antipodi.

L’Italia delle proroghe infinite

Qui siamo davvero alle comiche: basti pensare che il debutto era fissato per il 2020. L’imposta, dimezzata nel tempo da 10 a 5 euro per ettolitro (e da 0,25 a 0,13 euro per chilo per i concentrati), puntava a ridurre il consumo di zuccheri aggiunti e ad affrontare i problemi legati a obesità e malattie metaboliche. Un provvedimento che nasceva da un dato allarmante, testimoniato dall’Istat: quasi metà degli italiani sono in sovrappeso (per l’esattezza il 34,6%) o obesi (11,8%). Numeri che impressionano il Sistema sanitario ma non Assobibe, l’associazione degli industriali delle bevande, molto più spaventata da una presunta volontà “punitiva” che avrebbe messo a rischio 83mila posti di lavoro.

E poco importa che lo scopo principale della sugar tax non sia mai stato quello di colpire le aziende, ma di spingerle a riformulare i loro prodotti, riducendo la quantità di zuccheri considerati maggiormente responsabili dell’aumento dell’obesità. Come testimoniato da un’inchiesta di questo giornale, in Gran Bretagna, dove la tassa è in vigore da anni, è esattamente quello che è successo, mentre l’Italia è rimasta il paradiso delle bevande zuccherate.

Nella tabella (il Salvagente aprile 2025) il confronto del contenuto di zucchero delle stesse bevande in Gran Bretagna e in Italia. È evidente che la sugar tax varata dagli inglesi ha portato le industrie a diminuire la quantità di zuccheri nelle loro bevande.

Il Regno Unito non arretra, anzi allarga il raggio d’azione

Mentre Roma continua a rinviare, Londra rilancia, come anticipato. Il governo britannico ha annunciato che dal 2028 la Soft Drinks Industry Levy si applicherà anche alle bevande a base di latte, finora esentate. Una scelta che arriva dopo anni di risultati concreti: la sugar tax britannica ha spinto le aziende a riformulare, tagliando drasticamente lo zucchero nelle bibite e riducendo l’esposizione dei consumatori.

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L’estensione della tassa non è un gesto punitivo contro l’industria lattiero-casearia, bensì un adeguamento ai consumi reali: i giovani britannici assumono solo il 3,5% del loro apporto di calcio da drink lattieri e i livelli di zucchero in alcune bevande – dai frappè ai caffè ready-to-drink, dagli yogurt drink ai kefir zuccherati – restano elevati.

Dietro le quinte della riforma: la mediazione con l’industria

Il governo ha tuttavia aperto un canale con i produttori introducendo una novità che smussa l’impatto del prelievo: la “franchigia sul lattosio”. Si tratta di uno sconto che esclude dallo zucchero tassabile il lattosio naturalmente presente nel latte, riconoscendo che non ha lo stesso impatto degli zuccheri aggiunti.

Allo stesso modo, alcune bevande vegetali – come quelle a base di avena o riso – saranno tassate solo sugli zuccheri realmente aggiunti e non su quelli liberati naturalmente durante la lavorazione. Una mediazione che conferma come Londra, pur non arretrando di un millimetro sulla salute pubblica, riesca a tenere in considerazione le caratteristiche tecniche delle diverse categorie.

Una data chiara: 1° gennaio 2028

L’entrata in vigore dell’allargamento è stata fissata al 1° gennaio 2028, un anno più tardi rispetto al piano iniziale per consentire alle aziende di riformulare i prodotti. Una decisione che punta a mantenere lo spirito originario della tassa: non fare cassa, ma cambiare le ricette.

Due strade divergenti

Il confronto tra Italia e Regno Unito è impietoso: Londra utilizza la sugar tax come strumento di salute pubblica e non ha timore di aggiornarla o ampliarne il raggio. Roma continua invece a rimandare un provvedimento nato per affrontare un’emergenza — l’esplosione dell’obesità — che i numeri rendono ormai evidente.

Nel frattempo, gli scaffali italiani restano tra i più “dolci” d’Europa. E non certo perché serva zucchero in più, ma perché manca il coraggio politico di seguire l’esempio britannico.