
La guardia di finanza ha bloccato 40 tonnellate di fitostimolanti illegali provenienti dalla Cina nel porto del capoluogo pugliese. Gli ormoni servono per accrescere in modo artificioso frutta e verdura
La guardia di finanza di Bari, unitamente a funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli del capoluogo pugliese, ad inizio di aprile hanno sequestrato oltre 40 tonnellate di prodotti fitosanitari illegali per la crescita artificiosa di ortaggi e frutta. L’attività investigativa ha portato alla denuncia di tre soggetti per falso in atto pubblico (bollette doganali), frode in commercio nonché per la violazione della normativa europea di riferimento.
I container frigo provenienti dalla Cina, giunti nel territorio nazionale attraverso Grecia, si legge in una nota delle Fiamme gialle, “sono stati selezionati nell’ambito della quotidiana congiunta analisi dei rischi sui flussi commerciali in entrata nel territorio nazionale”. Ad insospettire gli addetti ai controlli sono state le anomalie riscontrate sulla merce e l’assenza di una corretta etichettatura dei prodotti.
Il successivo esame chimico, eseguito presso il laboratorio chimico dell’Agenzia delle Dogane di Bari, ha dato conferma ai sospetti certificando che il prodotto trasportato non era altro che cianammide, prodotto fitostimolante, comunemente denominato “Dormex”, vietato in Europa sin dal 2008.
La cianammide, utilizzata in agricoltura quale fattore di crescita per le piante da frutto, rappresenta un attivatore per anticipare la maturazione rispetto ai tempi naturali delle piante da frutto, quali vite, ciliegio, kiwi e drupacee (mele). La sostanza è stata bandita in quanto tossica e potenzialmente dannosa per la salute umana e l’ambiente, con possibili effetti di lunga durata e l’incremento esponenziale dei sequestri negli ultimi anni evidenzia l’esistenza di un mercato parallelo di fitostimolanti contraffatti illegali non rispettosi degli standard di sicurezza minimi imposti dall’Unione europea.
“Il commercio e l’utilizzo di prodotti illegali oltre che costituire un fattore di pericolo per la salute dei consumatori – si legge nella nota – produce una distorsione del mercato con effetti di concorrenza sleale nell’economia reale, a danno di quelle aziende che, operando nella legalità e nel rispetto degli standard imposti dalla normativa vigente, sono obbligati ad adottare processi produttivi maggiormente costosi”.
Il doping nei campi
Il ricorso ai fitoregolatori ovvero l’utilizzo di ormoni sia vegetali di origine naturale (fitormoni) che di sintesi, chiamati in gergo regolatori della crescita, è molto diffuso. Parliamo di sostanze che stimolano anche l’accrescimento degli ortaggi (non solo delle zucchine visto che vengono impiegati anche nella coltivazione di pomodori, peperoni e melanzane) e vengono utilizzati anche per avere prodotti di “taglia” simile o più standardizzata. I fitoregolatori della crescita stimolano la fruttificazione e applicati in campo favoriscono l’ingrossamento degli ortaggi da frutto. Una differenza sostanziale fra i fitoregolatori artificiali e quelli naturali consiste nel fatto che i secondi possono essere controllati dal metabolismo della pianta e vengono eliminati abbastanza rapidamente, mentre quelli artificiali persistono di più nell’organismo vegetale.
La finalità del loro impiego può essere molto diversa: vengono usati per aumentare la colorazione dei frutti, la dimensione, per diradare la crescita dei frutti stessi ed evitare sovrapposizioni che possono favorire marcescenze, ma anche per favorire (o ritardare) la crescita di un prodotto ortofrutticolo in modo tale da controllare e rendere più omogenee le produzioni in campo o in serra.
In Italia non sono molti i principi attivi autorizzati nelle varie colture con finalità di regolazione della crescita dei vegetali ma, a differenza dell’impatto sulla salute umana di alcune categorie di pesticidi, sono poco studiati gli effetti sulla salute umana che i fitoregolatori, specie di origine artificiale, possono causare. Eppure già negli anni Ottanta la ricerca “Tossicità dei fitoregolatori” condotta dall’Università di Firenze metteva in guardia dalle possibili conseguenze sull’organismo umano. Seppure gli autori tendevano a escludere una tossicità acuta questo, sottolineavano, “non vuol dire piena sicurezza d’uso; esistono infatti gli eventuali effetti legati a una utilizzazione ripetuta, anche se di dosi molto basse, con particolare riferimento a una azione tossica cronica e a una eventuale azione mutagena e cancerogena”, si legge nell’abstract della ricerca contenuta nel database accademico on line JStor. Gli autori tuttavia concludevano raccomandando “una continua cautela nella utilizzazione di queste sostanze, soffermandosi sul problema dei residui e di una eventuale cotossicità e sottolineando la necessità di costanti e ulteriori ricerche in questo settore”.
Dove non è arrivato il principio di precauzione invocato dai ricercatori sembra però arrivare quello “di cassa”, visto che diversi esperti ci hanno spiegato che il ricorso a questi trattamenti costosi, non avendo avuto grandi riscontri sulle produzioni, si sono ridotti negli ultimi anni. Anche se non sono spariti.