Come anticipato da Le Monde, l’Agenzia regionale di sanità dell’Occitania ha invitato Nestlé, proprietaria del marchio Perrier, a interrompere la produzione di acqua minerale a causa dell’elevata contaminazione delle sorgenti. Come risulta dal test del Salvagente anche in Italia la situazione non è rosea e i controlli fanno acqua
L’acqua frizzante Perrier, famosa in tutto il mondo da oltre un secolo, potrebbe diventare un oggetto d’epoca, di quelli che esistono solo nella nostra memoria e nelle immagini di repertorio. Il marchio, infatti, potrebbe perdere il suo status di acqua minerale naturale, come si legge in un rapporto confidenziale dell’Agenzia regionale di sanità (Ars) dell’Occitania, ottenuto da Le Monde e da Radio France, che invita Nestlé Waters, proprietaria del marchio, a considerare seriamente “un’interruzione della produzione di acqua minerale nel sito di Vergèze” a causa della qualità sanitaria costantemente deteriorata delle sue sorgenti. Dopo un’ispezione condotta a maggio, presso l’unico sito di imbottigliamento di Perrier a Vergèze, nel Gard, l’Ars solleva un rischio di natura virologica e invita il gruppo alimentare svizzero a “riflettere strategicamente su un altro utilizzo alimentare possibile delle attuali sorgenti di acqua minerale“, a condizione di fornire “ulteriori garanzie di sicurezza sanitaria“.
Come vengono controllate le acque in bottiglia in Francia?
Le risorse idriche sfruttate dall’azienda Nestlé per produrre l’acqua frizzante Perrier, dunque, non sarebbero conformi agli standard sanitari e regolamentari richiesti per la produzione di acqua minerale naturale. Le analisi effettuate sulla fonte hanno evidenziato contaminazioni microbiologiche e batteriologiche. “Queste contaminazioni – spiega Régis Taisne, responsabile delle attività legate all’acqua presso la Federazione nazionale dei Comuni concessionari e delle gestioni dirette – sono il risultato di un processo logico. Tutte le acque sotterranee, che siano utilizzate per produrre acqua minerale naturale o acqua potabile, provengono dalla superficie e si infiltrano nel terreno e nella roccia. Durante questo processo, una parte degli elementi viene filtrata a seconda dello spessore e della natura del terreno, mentre l’acqua si arricchisce di sali minerali, che risultano benefici se presenti nelle giuste quantità. Ciò che questa contaminazione dimostra è che tra la superficie e il sottosuolo le attività umane sviluppatesi negli ultimi anni — problemi di depurazione, allevamenti, fauna selvatica e presenza di materia fecale in superficie — penetrano e raggiungono le falde sotterranee”.
Il problema è che per far fronte a queste nuove contaminazioni, Nestlé ha trattato le sue acque dei marchi Perrier, Contrex e Parvitel, violando il principio secondo cui un’acqua minerale naturale — che giustifica questa denominazione e il relativo prezzo di vendita — non subisce alcun trattamento. Sebbene quindi le soluzioni adottate per trattare l’acqua erano mirate ad eliminare i rischi di contaminazione, si pone una questione rispetto al Codice del consumo e al Codice della sanità pubblica. Inoltre, come segnala l’Ars, i micro filtri utilizzati per rendere più sicure le acque minerali, bloccando i batteri, non eliminano i virus che, essendo più piccoli, non vengono intercettati. Con un conseguente rischio per la salute pubblica.
Il test del Salvagente rivela: 14 su 18 acque minerali contengono pesticidi
Quello dei controlli è un tema piuttosto scottante, come è emerso anche dall’inchiesta pubblicata dal Salvagente sul numero di agosto con i risultati del test di laboratorio condotto su 18 marchi di acqua minerale: ben 14 campioni sui 18 analizzati riportavano residui di antiparassitari, e questo nonostante nella comune percezione, alimentata dagli spot martellanti, un’acqua imbottigliata alla fonte non possa che essere purissima. Invece, a parte acqua Panna naturale, San Benedetto Ecogreen naturale, Evian naturale in vetro e Fonte essenziale naturale, tutte quelle analizzate contenevano tracce di pesticidi, seppur entro i limiti di legge.
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Se i controlli fanno acqua
Dopo il nostro test, abbiamo cercato di capire come vengono selezionati i fitosanitari da monitorare chiedendo alle autorità sanitarie locali. Le risposte ottenute disegnano una babele di rimpalli tra Arpa e Asl. E a trarne vantaggio sono le aziende che imbottigliano e che sono tenute a cercare solo alcune sostanze tra le tante potenzialmente pericolose. Ad esempio, abbiamo contattato le Arpa delle regioni in cui sono collocate le fonti delle acque testate, scoprendo che tra Aziende regionali per la protezione ambientale e Usl, non sempre le competenze sono chiare e strettamente definite. Dal Lazio alla Lombardia, le risposte cambiano e ognuno fa come crede.
L’Arpa Lazio ha ammesso che “la questione è un po’ complessa”, e “ci sono differenze tra una regione e l’altra (dovute soprattutto all’attribuzione di competenze)”. “C’è differenza tra i controlli sulle acque alla sorgente e quelli fatti sulle acque confezionate che vengono trattate come alimenti”. Nello specifico, per il Lazio i controlli sulle acque minerali naturali sono di competenza della Asl che definisce, sulla base delle conoscenze del territorio e degli impatti che alcune sostanze possono avere per la salute umana, cosa i laboratori dell’Agenzia devono cercare sui campioni prelevati ed è l’Asl che trasmette la lista ai laboratori Arpa quando chiede loro le analisi.
Se ci spostiamo in Lombardia, l’interpretazione cambia: “Le locali autorità sanitarie competenti sono Asl e Ats (regione Lombardia), mentre in alcune realtà nazionali le analisi vengono svolte dai laboratori Arpa su indicazioni e protocolli delle Asl competenti per territorio”. In Piemonte, invece, le aziende sanitarie locali non toccano palla. Insomma, difficile comprendere per quale motivo una questione così delicata come i controlli di contaminanti sulle sorgenti di acque destinate al consumo umano sia gestita in maniera così differente da regione a regione, con rimpalli continui tra Asl, Arpa e ente regionale.