Inquinamento da fossili, Greenpeace Italia e ReCommon contro Eni: domani la prima udienza

Greenpeace Italia e ReCommon contro Eni

Si terrà domani la prima udienza della causa civile intentata da Greenpeace Italia e ReCommon, insieme a 12 cittadine e cittadini, nei confronti di Eni, Cassa depositi e prestiti e ministero dell’Economia e delle Finanze. 

Si terrà domani la prima udienza della causa civile intentata da Greenpeace Italia e ReCommon, insieme a 12 cittadine e cittadini, nei confronti di Eni, Cassa Depositi e Prestiti e Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Secondo le due organizzazioni ambientaliste, che il 9 maggio scorso hanno portato la multinazionale in tribunale, Eni ha contribuito ai danni causati dai cambiamenti climatici continuando a investire nei combustibili fossili negli ultimi decenni.

Cosa chiedono Greenpeace Italia e ReCommon

Le due organizzazioni, insieme ai cittadini e alle cittadine coinvolti nella causa, chiedono che Eni sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre di almeno il 45% le emissioni derivanti dalle sue attività entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. Greenpeace e ReCommon, infatti, sottolineano come misure di questa portata siano giudicate indispensabili dalla comunità scientifica internazionale, oltre che previste dall’accordo di Parigi sul clima, per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi Centigradi. Il ministero dell’Economia e delle Finanze e Cdp, in particolare, sono stati citati in giudizio in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su Eni, con l’obbiettivo di spingerli a orientare la loro politica climatica in linea con quanto previsto dagli accordi di Parigi.

Dubbi sui consulenti di Eni

Intanto oggi, alla vigilia della prima udienza, Greenpeace e ReCommon esprimono dei dubbi in merito ai consulenti tecnici scelti da Eni nell’ambito del contenzioso climatico. Come spiegato in un report pubblicato oggi dalle due organizzazioni ambientaliste, “in una delle memorie depositate da Eni presso il Tribunale di Roma, entrambi i consulenti sono definiti come “esperti indipendenti””. Si tratta di Carlo Stagnaro, attuale direttore degli studi e delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni, e Stefano Consonni, professore ordinario di Sistemi per l’energia e l’ambiente del dipartimento di Energia del Politecnico di Milano.

“Scorrendo il curriculum e l’operato dei due consulenti nominati da Eni – scrivono le due organizzazioni ambientaliste – ci si chiede se questi siano a tutti gli effetti definibili “indipendenti”, ovvero privi di condizionamenti rispetto agli interessi del settore delle aziende fossili. Oltre alla terzietà, in uno dei due casi il dubbio si allarga anche all’affidabilità in fatto di questioni climatiche”.

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Stagnaro – scrivono Greenpeace e ReCommon – “negli anni ha sostenuto tesi negazioniste diffondendo anche in Italia teorie senza fondamento sui cambiamenti climatici, lasciandosi andare a duri strali contro l’Ipcc, ovvero la massima autorità scientifica in materia a livello globale; e intessendo una fitta rete di rapporti con le più note organizzazioni negazioniste globali, come documentato in un apposito report, con tanto di partecipazione a eventi di ‘divulgazione’ organizzati da think tank che da decenni lavorano per spargere dubbi sull’origine antropica dei cambiamenti climatici (se non addirittura per cercare di confutarla)”. Consonni, invece, secondo le associazioni “viene presentato come esperto ‘ndipendente’ malgrado le sue collaborazioni pluridecennali con le più grandi aziende globali dei combustibili fossili, come Exxon, BP e la stessa Eni”.

“Si può ritenere attendibile, nell’ambito di un contenzioso climatico, la consulenza di chi ha spesso sposato in prima persona e diffuso posizioni negazioniste in fatto di cambiamenti climatici? – Chiedono le due organizzazioni. – Si può ritenere libero di giudizio un esperto chiamato a dare un parere in merito all’operato di una azienda fossile se questo stesso esperto ha ricevuto in passato compensi da questa stessa compagnia?”.

Greenpeace e ReCommon auspicano, quindi, “che il giudice rigetti le numerose e pretestuose obiezioni mosse da Eni e dalle altre parti e istruisca invece il processo, permettendo un ampio confronto che porti a un radicale cambiamento nelle strategie industriali dell’azienda, facendone un protagonista nel contrasto alla crisi climatica anziché uno dei principali responsabili”.

Le cause climatiche

La causa intentata contro Eni, denominata #LaGiustaCausa, si inserisce fra le cosiddette climate litigation. 

Tra queste l’azione legale promossa da diverse associazioni, tra cui Greenpeace Netherlands, insieme a 17.379 cittadini e cittadine, che nel maggio 2021 ha spinto un tribunale dei Paesi Bassi a stabilire, in primo grado, che Shell è responsabile di aver danneggiato il clima del Pianeta, imponendo alla compagnia britannica di ridurre le proprie emissioni di carbonio.