Una richiesta di Igp bloccata per le pretese di stravolgere la ricetta della Lindt fa litigare la multinazionale svizzera e le aziende e gli artigiani italiani. Oggetto del contendere il gianduiotto, o meglio: un mercato da 200 milioni l’anno
L’hanno descritta in molti come la guerra tra il colosso Lindt e gli artigiani locali. Ma quella che si sta svolgendo attorno alla decisione europea di concedere o meno l’Indicazione geografica protetta al gianduiotto è una querelle che coinvolge attori anche molto più potenti dei mastri cioccolatieri del Piemonte.
Da una parte, effettivamente, c’è la svizzera Lindt che ha rilevato la Caffarel, azienda che per prima portò sul mercato il gianduiotto. La multinazionale svizzera vorrebbe che nel capitolato della Igp, tanto per fare un solo esempio, figurasse anche il latte (si vocifera anche in polvere). Dall’altra, a spingere per il riconoscimento, oltre ai tanti artigiani ci sono aziende del calibro di Ferrero, Venchi e Domori.
Oggetto del contendere un mercato da 200 milioni l’anno, legati allo storico cioccolatino piemontese, da sempre prodotto solo con nocciola, cacao e zucchero.
La richiesta dell’Igp è nata nel 2017 a opera del Comitato del Giandujotto di Torino Igp, ma ora è in stallo per l’opposizione dell’azienda di Zurigo che chiedere parametri molto più larghi per rientrare nel cappello della protezione (e della promozione) comunitaria. “Il gruppo Lindt – ha spiegato il segretario del Comitato del Giandujotto, Antonio Borra, al convegno Il Cioccolato delle meraviglie di CioccolaTò a Torino – vuole che tra gli ingredienti previsti dal disciplinare sia inserito anche il latte. Una richiesta inaccettabile”.
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E non è la sola. Lindt chiede anche meno nocciola (26%) oltre al già citato 10% di latte e si fa forte del potere di veto in quanto proprietaria del marchio Caffarel, l’azienda che nel 1865 lanciò questa specialità con la nocciola che doveva servire a compensare il costo del cacao cresciuto enormemente a causa del blocco continentale imposto da Napoleone.
Una cosa è certa se, come diceva Cesare Pavese, “il cioccolato in Piemonte è una cosa seria”, a Bruxelles e Zurigo non la pensano diversamente e ribattono “gli affari sono affari”.