Quando è possibile installare le telecamere sul posto di lavoro e quali sono le sanzioni previste

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Telecamere sul luogo di lavoro, quando possono essere installate e quando no. Cosa dice la legge in merito, quali sono gli obblighi per il datore di lavoro e quando è possibile non rispettarli. Le conseguenze e le sanzioni previste

Da diversi anni si dibatte sull’appropriatezza della presenza delle telecamere di videosorveglianza sul posto di lavoro, con le parti sindacali che spingono per la loro assenza in quanto rappresentano una violazione dei diritti del lavoratore e delle sua libertà, dignità e riservatezza. Non è possibile installare sempre le telecamere sul posto di lavoro, ma lo si potrà fare solo al verificarsi di date condizioni e nel rispetto di dati elementi. Vediamo quali.

Telecamere sul posto di lavoro: quando è possibile

In base a quanto previsto dalla legge italiana, un sistema di videosorveglianza attivo in un luogo di lavoro può essere installato solo in presenza di:

  • esigenze organizzative e produttive dell’azienda;
  • necessità di garantire la sicurezza del lavoro;
  • esigenza di tutelare il patrimonio aziendale.

In presenza di queste tre condizioni, ma anche soltanto di una, l’azienda potrà attivare la videosorveglianza nel rispetto, tuttavia, di alcuni passaggi fondamentali. Al datore di lavoro è infatti chiesto di stipulare, preventivamente all’installazione del sistema di controllo, un accordo sindacale con i rappresentanti dei lavoratori che verranno ripresi. Qualora le unità produttive interessate dalla richiesta fossero dislocate in più province o in più regioni, l’azienda dovrà rivolgersi alle associazioni sindacali nazionali, altrimenti ci si potrà riferire agli uffici presenti nel territorio di appartenenza. In alternativa, si potrà procedere dopo aver ricevuto l’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro competente, e, nel caso di unità produttive distribuite in ambiti di competenza di più Dtl, sarà necessario ricevere l’assenso da parte del ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Si sottolinea tuttavia che, così come previsto dalla giurisprudenza, il rispetto delle procedure indicate può venire meno se il controllo audiovisivo è finalizzato ad accertare la presenza di un reato commesso dal lavoratore. Altri casi in cui il datore non necessita di un accordo sindacale sono quelli in cui:

  • il lavoratore utilizza dei dispositivi necessari alla propria prestazione che, per lo loro struttura, possono rappresentare un sistema di controllo. Si pensi ad esempio, agli smartphone, ai tablet, ai notebook o ai sistemi di rilevazione Gps;
  • vengano installati degli strumenti per la rilevazione degli accessi e delle presenze. Si pensi, ad esempio, alle macchine per la lettura dei badge.

Benché si tratti di sistemi e strumenti che consentirebbero un controllo da remoto da parte del datore di lavoro, questo non può utilizzarli per tale finalità senza autorizzazione da parte del sindacato o della Dtl. Ciò che non richiede il consenso, dunque, è la semplice dotazione degli strumenti – in quanto funzionali all’esercizio della prestazione lavorativa – e non il loro utilizzo ai fini del controllo. Ecco dunque che il sistema Gps potrà essere fornito al lavoratore per svolgere la propria attività, ma il datore non potrà utilizzare i dati del localizzatore per controllare l’operato del dipendente senza aver prima raggiunto un accordo con i sindacati di categoria o il Dtl.

Telecamere sul posto di lavoro: cosa dice la legge

Da diversi anni si dibatte sull’appropriatezza della presenza delle telecamere di videosorveglianza sul posto di lavoro, con le parti sindacali che spingono per la loro assenza in quanto rappresentano una violazione dei diritti del lavoratore e delle sua libertà, dignità e riservatezza. Dall’altra ci sono le aziende che hanno interesse a verificare che i propri dipendenti svolgano al meglio la prestazione che gli viene richiesta. Per cercare un giusto equilibrio tra queste due legittime istanze, sia lo Statuto dei lavoratori che il Codice della privacy predispongono un’adeguata tutela per quanto riguarda i sistemi di controllo del lavoratore. E ancora, il Jobs Act è intervenuto per disciplinare la materia in modo ancora più netto, consentendo sì l’installazione delle telecamere nei posti di lavoro, ma solo in presenza di determinate finalità e di adeguate garanzie per i lavoratori. Come già accennato, il datore di lavoro dovrà giustificare il sistema di controllo a distanza del dipendente per finalità organizzative e produttive, o quando ci sia la necessità di tutelare la sicurezza sul lavoro e il patrimonio aziendale. Qualora il datore di lavoro non dovesse rispettare le suddette condizioni, andrà incontro a delle sanzioni e a due principali conseguenze di natura pratica. La prima riguarda la impossibilità ad utilizzare i filmati registrati con un sistema di videosorveglianza illegittimo. Questo vuol dire che quelle immagini non possono essere considerate delle prove da utilizzare in un processo intentato contro il lavoratore. Per rendere più comprensibile tale passaggio, facciamo ricorso ad un esempio pratico. Immaginiamo che un datore di lavoro decida di licenziare un proprio dipendente dopo aver scoperto, tramite i fotogrammi di una telecamera a circuito chiuso installata in violazione della disciplina sui controlli a distanza, che questo sottrae dalla cassa del denaro. Non c’era, in questo caso, un sospetto provabile sul lavoratore, ma solo la volontà di controllarlo. Il dipendente in questo caso è stato illegittimamente licenziato e, dunque, potrà vincere facilmente un ricorso contro il proprio datore di lavoro il quale, a sua volta, dovrà reintegrarlo.

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L’altra conseguenza per il datore di lavoro che installa un sistema di videosorveglianza dei dipendenti illecito è quello di commettere il reato di violazione del divieto di controlli a distanza sui lavoratori. A tal proposito si ricorda che il diritto penale mira a salvaguardare gli interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono per legge portatrici. Venire meno ad un accordo e installare le telecamere nel luogo di lavoro, dunque, porterebbe il datore a viziare tale rapporto e, dunque, alla configurazione di un reato.

Sul tema si è più volte espressa anche la Corte di Cassazione, sottolineando che il datore di lavoro responsabile di un impianto di videosorveglianza illegale può essere denunciato dai propri dipendenti per violazione della privacy. Il datore viene tutelato, come detto, soltanto in presenza di controlli difensivi, ma che comunque non ledano la dignità del lavoratore. Ecco dunque che potrebbe essere tollerata una telecamera nascosta che punta solo sulla cassa, mentre non potrebbe esserlo una montata nel bagno o puntata solo su un unico dipendente, allo scopo di controllare ogni suo minimo spostamento durante tutto l’orario di lavoro.  Nel caso di controlli difensivi, tuttavia, devono esistere dei validi sospetti del reato del dipendente che dovranno essere provati in caso di denuncia. Se ne deduce che la sola funzione preventiva di una telecamera, volta cioè a verificare la fedeltà del dipendente su cui non ci sono concreti sospetti, è illegale. Si sottolinea inoltre che la registrazione della telecamera spia potrà essere utilizzata soltanto per rilevare l’eventuale reato, mentre non lo si potrà usare per contestare altre condotte, quali, ad esempio, la pausa sigaretta troppo lunga.

Telecamere per l’accertamento dei reati

Sul tema delle telecamere spia installate dal datore di lavoro per verificare eventuali reati commessi dal dipendente è bene fare un ulteriore approfondimento. Così come stabilito dalla Cassazione penale, le telecamere spia sul luogo di lavoro possono essere utilizzate al fine di verificare la commissione di reati da parte del dipendente, come furti o l’allontanamento fraudolento dal luogo di lavoro. Se ne deduce che, in presenza di un sospetto fondato e provabile, il datore di lavoro possa non rispettare le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori in quanto si pone l’esigenza di accertare un reato e, dunque, di tutelare l’interesse pubblico che prevale su quello personale del dipendente. In tale circostanza la registrazione “rubata” potrà essere utilizzata come prova dal datore di lavoro in sede di processo per certificare la commissione dell’illecito. Non potrà essere invece utilizzata per dimostrare l’inadempimento contrattuale del lavoratore, in quanto, in questo caso, torneranno ad essere applicati i vincolanti e le limitazioni previste dallo Statuto dei lavoratori.

Le sanzioni previste per il datore di lavoro

Il datore di lavoro che installa delle telecamere sul posto di lavoro senza rispettare le normative, può essere anche sottoposto a delle sanzioni. Più nello specifico, l’imprenditore che non rispetta le regole sulla privacy va incontro ad un’ammenda compresa tra i 154 a 1.549 euro o all’arresto da 15 giorni a un anno. Non è tuttavia da escludere che, nei casi più gravi riscontrati da un giudice, possano essere applicate congiuntamente le due sanzioni indicate. E ancora, qualora l’applicazione della sola ammenda risultasse inefficace a causa delle grandi possibilità patrimoniali del datore di lavoro colpevole, questa potrà essere aumentata fino a cinque volte. In questo caso inoltre, è possibile anche la pubblicazione della sentenza penale di condanna.