Uno studio dell’Enea ha dimostrato come alcune varietà di grano duro possono, in condizioni di stress idrico, resistere alla mancanza di acqua e garantire una buona resa
Un grano resistente alla siccità. A questa conclusione è giunto lo studio coordinato dalla dottoressa Patrizia Galeffi di Enea, con la collaborazione del Cimmyt – il Centro internazionale di miglioramento del mais e del grano, uno dei numerosi centri di ricerca internazionali del Cgiar, dedicato allo sviluppo di varietà migliorate di grano e mais in Messico – che ha ha chiarito, analizzando diverse varietà di grano duro, il ruolo di un gene e il suo comportamento molecolare alla base della resistenza allo stress idrico.
Una buona notizia che arriva in un momento cruciale e che apre a possibili applicazioni pratiche che vengano in aiuto all’agricoltura, sempre più in crisi per la siccità che riguarda ormai anche il periodo invernale. Abbiamo sentito la dottoressa Galeffi, ricercatrice presso il Laboratorio sostenibilità, qualità e sicurezza delle produzioni agroalimentari dell’Enea, che ci ha spiegato come è nato questo lavoro: “Tutto è nato da una mia intuizione e convinzione, i miei stessi colleghi erano scettici data la portata della difficoltà. Volevo comprendere il funzionamento a livello molecolare del gene DRF1, che si attiva in risposta alla mancanza di acqua e verificare se e in qualche modo l’espressione di questo gene fosse (o non fosse) correlato allo sviluppo della pianta in campo. L’obiettivo era riuscire a trovare un collegamento tra una serie di dati molecolari e una serie di dati agronomici (la resa in campo), cosa per nulla semplice”.
La sperimentazione nel deserto del Messico
La ricerca ha preso avvio dallo studio di alcune varietà di grano duro italiane già note a Enea e da alcune varietà sperimentali del Cimmyt. Queste varietà sono state per prima cosa coltivate in serra e sottoposte a un esperimento di stress idrico (ridotta irrigazione) in time-course. Estratto dai tessuti vegetali di queste piante l’RNA e ottenuto il profilo del gene sotto stress idrico, l’esperimento è stato poi portato in campo aperto. Questa seconda parte si è svolta in una stazione sperimentale del Cimmyt, nel deserto del Messico, dove piove meno di una volta all’anno e si può essere sicuri di poter controllare la quantità di acqua che ogni pianta riceve.
Qui, a parità di condizioni (qualità del terreno, temperatura, concimazione e uso di funghicidi) una parte del campo è stata irrigata regolarmente (per un totale di 550-600 mm di acqua) un’altra parte invece è stata sottoposta a una ridotta irrigazione (solo 220-250 mm di acqua con sistema a goccia) e campioni vegetali sono stati raccolti durante tutto il periodo di sviluppo della pianta per ottenere ed analizzare nuovamente l’RNA e il profilo del gene, sia nelle piante normalmente irrigate che in quelle sotto stress idrico.
Stress idrico e resa del grano
Quello che si è scoperto elaborando i dati attraverso dei sistemi statistico-matematici è che la varietà Barnacla (costituita dal Cimmyt con il breeding tradizionale, attraverso selezione e incroci) ha avuto in condizioni di stress (scarsità di acqua) una limitata diminuzione della resa (inferiore al 50%), risultando la varietà più performante tra tutte quelle esaminate. Il gene DRF1, infatti, presente in tutte le piante, combinandosi con altri fattori (molecolari ed ambientali) si esprime in modo unico per ciascuna varietà. Questo fa sì che ogni varietà risponda alla carenza di acqua nel modo migliore possibile e che l’impatto sulla resa sia più o meno negativo.
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Abbiamo chiesto alla dottoressa Galeffi quali sono i possibili risvolti applicativi di questa ricerca: “Il nostro obiettivo era dimostrare una relazione tra un gene singolo rispondente allo stress idrico e la resa in campo di una varietà e conoscere i meccanismi molecolari alle base della resistenza alla siccità e lo abbiamo raggiunto. A valle di queste nuove conoscenze emergono dei risvolti applicativi: si potranno sviluppare dei test di laboratorio, sempre più veloci e precisi, che ci permetteranno di prevedere con buona approssimazione una resa ottimale/subottimale di una “nuova varietà” anche in carenza di acqua. Questo sarà certamente di aiuto ai produttori e l’agricoltura”.