Come si ottiene il miglioramento della classe energetica degli immobili (che ci chiede l’Ue)

classe energetica

In Europa è in discussione una direttiva che prevede il miglioramento della classe energetica degli edifici – residenziali e non. Sul tema gli stati membri sono divisi e il Parlamento cercherà un compromesso nella plenaria di febbraio. Nel frattempo il nostro ministro dell’Ambiente rassicura: “Ci adegueremo con i nostri tempi senza spese per i proprietari e, soprattutto, senza sanzioni”

Se concludesse il suo iter legislativo senza modifiche rispetto alla proposta, la direttiva presentata dalla Commissione europea che richiede di portare gli immobili almeno alla classe energetica D potrebbe mettere i proprietari in serie difficoltà: il nostro patrimonio immobiliare, per la maggior parte, ha più di 45 anni o è stato costruito prima della legge 373/1976 per il contenimento dei consumi energetici. Questo significa che oltre 9 milioni di edifici residenziali dovranno essere ristrutturati per rientrare nei requisiti della direttiva europea.

“La direttiva rappresenta un grosso passo avanti nella corsa alla riduzione delle emissioni di CO2 e dell’uso delle fonti fossili, che è diventata ormai una esigenza prioritaria per la conservazione dell’ambiente in cui viviamo” commenta la Salvagente Cristian Angeli, ingegnere esperto nel settore dei bonus edilizi e dell’efficientamento di edifici esistenti, che aggiunge: “Bisogna considerare infatti che dagli edifici deriva il 40% del consumo energetico e il 36% dell’emissione di gas nocivi totali presenti in atmosfera. Quindi è un segnale molto forte quello lanciato dall’Ue, rivolto sia all’edilizia privata sia a quella pubblica. Inevitabilmente il mercato delle costruzioni ne verrà condizionato per i prossimi decenni anche perchè, è bene ricordarlo, si tratta solo del primo passo di un percorso che dovrebbe portare al traguardo delle zero emissioni entro il 2050”.

Cosa prevede la direttiva

La direttiva, all’esame delle istituzioni comunitarie, prevede l’obbligo, per gli edifici esistenti, di raggiungere la classe energetica E entro il 1° gennaio 2030 e la classe D entro il 1° gennaio 2033. Per quanto riguarda gli edifici nuovi: dal 2028, quelli di proprietà di enti pubblici dovrebbero essere a emissioni zero; dal 2030, tutti dovrebbero essere a emissioni zero. Per gli edifici esistenti, saranno introdotte norme minime di prestazione energetica corrispondenti alla quantità massima di energia primaria che gli edifici possono utilizzare per m² all’anno. Per gli edifici esistenti non residenziali, sono state fissate soglie massime di prestazione energetica.

Il tortuoso iter legislativo

L’iter legislativo di questa proposta è lungo e tutt’altro che semplice. È molto probabile che nel corso della prossima plenaria – che si terrà nella settimana del 13 febbraio – il Parlamento si esprima sula questione per trovare un punto di incontro tra le posizioni dei diversi stati membri. Sul tema il Consiglio si è diviso tra paesi più rigidi e paesi più pragmatici, come l’Italia, che chiedono maggiore flessibilità. A marzo si andrà al trilogo, cioè al negoziato tra le istituzioni (Commissione, Parlamento e Consiglio), che potrebbe concludersi in giugno, in chiusura della presidenza svedese. Dopodiché entrano in gioco i parlamenti nazionali.

Il ruolo degli stati membri

Una volta che il testo sarà approvato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ogni stato membro dovrà presentare dei piani nazionali di ristrutturazione del patrimonio edilizio residenziale e non residenziale per raggiungere gli obiettivi al 2030 e al 2033 che dovranno corrispondere a dei criteri generali. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto ha già fatto sapere che “sarà il governo italiano e nessun altro a decidere tempi e modi per rendere sostenibile il patrimonio immobiliare del nostro Paese”. In una lettera pubblicata sul Sole 24 Ore, il titolare del dicastero ha detto: “a valle di una vittoria diplomatica, il governo ha accettato solo ‘l’orientamento generale della direttiva’”. “Sarà poi il nostro piano nazionale di ristrutturazione – spiega – a prevedere una tabella di marcia con obiettivi stabiliti a livello nazionale in vista dell’obiettivo della neutralità climatica nel 2050 che l’Italia ha siglato e che il Presidente Meloni ha ribadito in più occasioni”.

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I lavori da fare

Chi ha approfittato delle agevolazioni del superbonus ha già attuato quanto prescrive la direttiva. Spiega l’ingegnere Angeli: “Se sono stati effettuati lavori ricadenti nelle agevolazioni di cui al Superbonus (ovviamente in chiave “eco”), che presuppongono il miglioramento di almeno due classi energetiche, è evidente che sarà pressochè automatico il rispetto della direttiva europea, almeno nella versione 2030, per il semplice fatto che la classe peggiore in cui un edificio può ricadere è la G e quindi il miglioramento delle due classi necessarie per beneficiare del Superbonus lo avrà fatto passare come minimo alla E che, a quanto pare, verrà richiesta dall’Europa”.

Ricordiamo, infatti, che l’agevolazione 110% (dal 2023 al 90%) è concessa a condizione che si ottenga un miglioramento di almeno due classi, certificato da un attestato di prestazione energetica (Ape) pre e post lavori. E che la direttiva Ue, in base alle ultime modifiche (ma ci sarà una trattativa tra Commissione, Consiglio e Parlamento), prevede che entro il 2030 tutti gli immobili residenziali debbano essere in classe energetica E (in genere ne fanno parte le case costruite in Italia tra gli anni 80-90). Si pensi però che circa il 60% degli edifici in Italia si colloca oggi tra la classe F e G. E che entro il 2033 la direttiva impone poi il passaggio obbligato alla classe D.

Per migliorare di due classi energetiche è obbligatorio effettuare il cappotto termico dell’involucro e/o cambiare la centrale termica; nella pratica la sostituzione della centrale da sola non basta e si effettuano quasi sempre entrambi i lavori. A questi interventi, detti trainanti, si possono aggiungere altre opere dette “trainate” tese a migliorare ulteriormente le prestazioni dell’edificio: le più gettonate sono la sostituzione dei serramenti e l’installazione del fotovoltaico.

Secondo le stime di Ance, che comunque si allineano ai dati di Enea sulle certificazioni energetiche effettuate negli ultimi sei anni, i due terzi degli edifici italiani hanno bisogno di interventi strutturali per arrivare a rispettare la direttiva Ue per come si prospetta. Nel dettaglio, sui 12,2 milioni di edifici presenti in Italia almeno 9, costruiti prima dell’entrata in vigore delle norme più stringenti in fatto di consumi energetici entrate in vigore nel 1974, non sarebbero in regola e sarebbero bisognose di riqualificazione. Sulla base di questo dato i costruttori ritengono che, tenendo conto degli immobili esentati (ad esempio le case di superficie inferiore a 50 metri quadrati) almeno due terzi degli immobili censiti (circa 8 milioni) abbia bisogno di ristrutturazione.

Le difficoltà del nostro paese

Se sarà o meno un provvedimento attuabile nel nostro paese è ancora presto per dirlo ma alcune precisazioni sono d’obbligo. Ci ha aiutato l’ingegnere Angeli: “Il nostro paese, a differenza della maggioranza degli altri stati europei, è caratterizzato dalla presenza capillare di edifici storici, spesso in muratura “a faccia vista”, per i quali l’attuazione dell’obiettivo europeo è sicuramente difficile da raggiungere”.

Però questo non deve allarmare più di tanto.

In primo luogo – continua Angeli – perché il raggiungimento della classe energetica richiesta non presuppone sempre e solo interventi impattanti dal punto di vista architettonico, come ad esempio l’applicazione del cappotto termico. Si può intervenire anche mediante il rinnovamento degli impianti o la sostituzione degli infissi o introducendo sistemi fotovoltaici. Laddove ciò non bastasse esistono anche tecniche innovative che permettono di migliorare l’isolamento termico delle pareti operando solo dal lato interno delle stesse.

Infine occorre considerare che sono previste deroghe proprio per alcune categorie particolari di edifici, come ad esempio quelli:

  • ricadenti nei centri storici,
  • vincolati dai Beni Culturali,
  • che potrebbero subire una diminuzione del valore architettonico,
  • le chiese e gli altri edifici di culto,

In ogni caso è evidente che una transizione ecologica come quella che sta immaginando l’Europa, avrà per l’Italia (e per gli italiani) un impatto economico importante, data la presenza di un parco immobiliare piuttosto datato.

Le sanzioni

E chi non dovesse adeguare le proprie case ed edifici? Per il momento si assicura che non verranno imposte sanzioni ai proprietari di case per il mancato rispetto degli standard minimi di prestazione energetica, specie per coloro che non possono permettersi la messa a norma dell’immobile da loro abitato e che è la loro unica proprietà. Possibili però delle novità nel corso dei prossimi mesi ma anche su questo punto il ministro Gilberto Pichetto ha voluto tranquillizzare:  “non sono previsti obblighi per i proprietari: la realizzazione degli obiettivi di ristrutturazione è in capo agli stati membri”. “La proposta – aggiunge Pichetto – non prevede alcuna limitazione della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati” e “gli Stati membri potranno stabilire criteri per esentare alcune categorie di edifici come gli immobili di valore architettonico o storico di cui l’Italia è il paese più ricco al mondo”. Tra questi, “gli edifici di proprietà delle Forze Armate o del governo centrale e destinati a scopi di difesa nazionale, edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento di attività religiose”.