La stevia, il dolcificante molto attraente per la sua origine naturale, non risolve l’eterna lotta per la ricerca dei migliori sostituti dello zucchero. Oltre alle controindicazioni, bisogna mettere in conto l’uso che ne fa l’industria alimentare e le modifiche che subisce.
La guerra contro gli zuccheri, causa di dipendenza e patologie anche gravi, ha spinto studiosi, ricercatori della chimica degli alimenti, consulenti di industrie e consumatori a cercare validi sostituti o rendere più “edulcorata” una realtà più amara. Tra interessi di mercato e quelli più tesi alla tutela della salute pubblica, sugli scaffali e tra le abitudini alimentari si stanno diffondendo sempre più dolcificanti naturali ipocalorici come la stevia.
La stevia come zucchero naturale viene estratta da una pianta erbaceo-arbustiva perenne dal nome di Stevia rebaudiana. Si tratta di una pianta che in genere non supera il mezzo metro di altezza, appartiene alla famiglia delle Asteraceae (Compositae), nativa delle montagne fra Paraguay e Brasile.
La diffusione nel mondo
La stevia si è diffusa maggiormente in anni recenti, dopo numerose polemiche, dibattiti, analisi e studi. In realtà la coltivazione commerciale è iniziata negli anni ’60 del Novecento e si è diffusa soprattutto in Giappone, nel sud-est asiatico e negli Stati Uniti, ma anche in climi leggermente tropicali nelle zone collinari del Nepal o nella regione indiana dell’Assam.
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È una pianta che non sopravviverebbe in condizioni climatiche fredde, poco umide e troppo ombrate, per questo in Europa viene coltivata nelle serre.
Come è accaduto nelle storie coloniali per tanti prodotti esportati (caffè, pomodoro, e tanto altro), la coltivazione della stevia ha incrementato gli affari più nei paesi che l’hanno adottata che in quelli nativi. Tanto è vero che alcuni ricercatori della Duke University hanno sviluppato un piano strategico per aiutare gli agricoltori e gli esportatori del Paraguay a competere nel mercato globale della stevia rientrando in un programma di economia e agricoltura inclusiva globale chiamato Global Value Chains (qui il progetto) .
Nei paesi più poveri o in via di sviluppo la stevia viene coltivata in maniera estensiva (soprattutto in Thailandia, Cina, America meridionale), ma in queste aree geografiche si utilizzava già da secoli come dolcificante e come pianta medicinale. In Brasile è ancora oggi impiegata come rimedio della medicina popolare per tenere a bada il diabete.
La stevia nella Coca Cola “light”
La stevia ha subito catturato l’attenzione dei grandi marchi dell’industria alimentare, soprattutto per via dell’appeal della sua origine naturale e suo potere dolcificante a zero contenuto calorico. Infatti, gli studi hanno dimostrato che la stevia può raggiungere un potere edulcorante 300 volte superiore rispetto allo zucchero comune, con calorie azzerate.
La Coca Cola in Giappone la usa come dolcificante per la Coca Cola Light (chiamata Diet Coke). Il problema dei soft drink cosiddetti “light” o “zero zuccheri” riguarda quello che non si dice (o si dice poco) sui restanti ingredienti.
In Italia
La stevia è un dolcificante naturale che trova diffusione anche in Italia, facilmente reperibile anche nei supermercati. La ritroviamo in zollette e sotto forma di polvere bianca simile allo zucchero, ma ha grana più fine e un potere dolcificante molto più elevato. Viene utilizzata come dolcificante inserito direttamente nelle bevande (latte, the, caffè), ma anche come ingrediente nei dolci da forno, grazie alla sua resistenza e stabilità alle alte temperature.
Può far male?
Le controindicazioni della stevia sono note agli esperti. Quelli di Humanitas ricordano che nel caso di abuso di questo dolcificante si possono riscontrare casi di ipotensione e diarrea, e può avere effetto lassativo. Comunque, a oggi non sono note interazioni dovute al consumo di stevia in contemporanea all’assunzione di farmaci o altre sostanze.
Sappiamo che non apporta calorie, non provoca carie e può essere consumata anche dai diabetici, in quanto ha un apporto di zuccheri nullo.
Ma non sono ancora state certificate le presunte proprietà attribuite alla stevia, come quelle di essere in grado di proteggere la pelle dall’invecchiamento contrastando l’azione dannosa dei radicali liberi o anche proprietà antiacido e ipotensive.
Il “dolce inganno” delle bevande zero zuccheri
In passato l’impiego della stevia nei prodotti alimentari e nell’industria alimentare era limitato in Europa e negli Stati Uniti, poiché alcuni componenti testati nelle varie analisi, come lo steviolo e lo stevioside, erano considerati genotossici. Così la massima autorità di sicurezza alimentare americana, la Food and Drug Administration (Fda), ne ammise l’uso solo come integratore dietetico, ma non come ingrediente o additivo alimentare. Ma nel 2008 il rebaudioside è stato approvato come Food Additive.
Cosa che accadrà anche nell’Unione europea 2 anni dopo: l’autorità di sicurezza alimentare Efsa il 14 aprile 2010 ha approvato l’uso della stevia come Food Additive.
I rischi maggiori riguardanti l’utilizzo di edulcoranti quali la stevia sono concentrati più nell’impiego industriale di questi zuccheri naturali, e nella combinazione con altri elementi e additivi che li rendono poco naturali. Il sospetto di un abuso di dolcificanti “naturali” era chiaro già nel 2013, quando il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per una revisione delle norme di utilizzo di questi edulcoranti (stevia compresa) nell’industria di produzione delle bibite gassate.
Negli Stati Uniti, dove è altrettanto diffusa che da noi, la stevia e il suo uso è finito nuovamente al centro delle critiche di Consumer Reports anche in anni recenti. Il giornale dei consumatori spiega che sì, per produrre i composti dal sapore dolce – i glicosidi steviolici – si usa l’estrazione dalle foglie delle piante per poi purificare l’estratto. Ma che a volte gli estratti vengono modificati con enzimi e che i glicosidi possono anche essere prodotti utilizzando lievito geneticamente modificato.
In una puntata di Occhi Aperti, per il Salvagente, con la dottoressa Chiara Manzi cerchiamo di capire il carico di “dolce” che si nasconde dietro alle promesse nutrizionali e i rischi che gli edulcoranti possono rappresentare per la nostra salute. (Qui per rivederla).
Quanta stevia si può mangiare?
Le autorità internazionali hanno stabilito una dose di stevia consigliata non superiore ai 2 milligrammi per ogni chilogrammo di peso corporeo. L’Efsa ha indicato i valori giornalieri di riferimento in 4 mg per ogni kg di peso corporeo. Un organismo umano dal peso di 65 chilogrammi dovrà assumere una dose massima giornaliera pari a 60 mg.
Più recentemente l’Oms ha rivisto le soglie di assunzione raccomandata di zucchero, abbassando l’asticella a meno del 5% dell’energia totale giornaliera, ovvero circa 25 grammi, circa 6 cucchiaini da tè. Molto spesso, però, dietro al vestito cucito su un singolo vantaggio nutrizionale c’è un dolce “inganno”: un carico proprio di zuccheri che rischia di colmare in fretta quei 25 grammi indicati dall’Oms come apporto ottimale.
Come riconoscere gli additivi nei prodotti con la stevia
I glicosidi steviolici sono riconoscibili con la sigla E 960 in etichetta. La nomenclatura E 960a indica i glicosidi steviolici da stevia. Il codice E 960c indica i glicosidi steviolici prodotti enzimaticamente, quindi con aggiunta di enzimi. (Qui il regolamento modificato della Commissione europea).
I glicosidi steviolici (E 960) sono esaltatori di sapidità. Oggi si ritrovano in numerosi prodotti offerti dalla grande distribuzione organizzata. Oltre alle bevande “senza zucchero”, “light” o “zero zuccheri”, vengono impiegati nei prodotti aromatizzati, gelati e dessert, confetture, conserve, latte fermentato, preparazioni a base di frutta e verdura, gelatine, creme da spalmare, cacao, chewing-gum, zuppe e brodi, nettari di frutta, bevande aromatizzate, dessert), crostacei e molluschi, bevande alcoliche, integratori, e in tantissimi altri prodotti.
L’additivo E 960 non è autorizzato nei prodotti biologici
I glicosidi steviolici non devono essere presenti negli alimenti biologici. Questi additivi (E 960) non possono essere associati alla pianta presente in natura. Come ricorda il Centro Tutela Consumatori Utenti di Bolzano, la direttiva europea relativa all’agricoltura biologica e alla relativa etichettatura non prevede una certificazione bio per i dolcificanti. Ogni indicazione in etichetta e sulla confezione che suggerisca il rispetto del protocollo bio è pertanto illegale, oltre che fuorviante per il consumatore. Per quanto riguarda invece le piante di Stevia, esse possono essere coltivate secondo il protocollo biologico, ma in nessun caso direttamente consumate dall’uomo (né in foglia, né in forma essiccata, polverizzata, ecc.).
L’alternativa migliore allo zucchero? Ridurlo
Queste sigle, che possiamo riconoscere nelle quasi invisibili etichette, sono schedate come “additivi” ed “esaltatori di sapidità”. Non è un caso, anche perché la lingua non è un’opinione. Significa che in qualche modo modificano artificialmente i sapori naturali ai quali noi consumatori siamo ormai poco abituati.
Il dibattito su quale sia il miglior sostituto dello zucchero continuerà e andrà avanti, catalizzando l’attenzione di studiosi e ricercatori e l’interesse dei produttori. Ma una cosa è certa: diminuire l’apporto di zuccheri nell’alimentazione di ogni giorno fa bene alla salute. Mangiando meno e meglio, privilegiando alimenti freschi, a basso grado di trasformazione e non dolcificati.
Sostituire lo zucchero con dolcificanti sintetici o “naturalmente modificati” non ha molto senso.