Turchia, Ferrero nel mirino dell’Antitrust per monopolio dei noccioleti

ferrero nocciole

L’autorità garante della concorrenza turca ha avviato un’indagine legale contro Ferrero con l’accusa di monopolizzare il mercato delle nocciole. Anche in Italia, ci sono produttori che protestano

L’autorità garante della concorrenza turca ha avviato un’indagine legale contro Ferrero con l’accusa di monopolizzare il mercato delle nocciole. in Turchia, Ferrero è presente da oltre 30 anni e dà lavoro a più di mille persone. Il colosso è il primo acquirente di nocciole della Turchia, ingredienti principe per produrre la nutella. Gli agricoltori turchi, però, accusano Ferrero di pagare loro somme esigue per le nocciole e poi di vendere i suoi prodotti a prezzi notevolmente più alti.

Hilmi Güler, sindaco della provincia di Ordu sul Mar Nero, la cui economia si basa soprattutto sui noccioleti, ha scritto su Twitter: “A settembre abbiamo avviato il nostro procedimento legale con l’autorità garante della concorrenza contro l’azienda italiana Ferrero, che sta cercando di monopolizzare l’industria delle nocciole”,”È stata avviata un’indagine a causa delle azioni dell’azienda a tutti i livelli, dalla produzione all’acquisto, al confezionamento e all’esportazione”

Secondo i dati che riporta Euronews, la Turchia è il principale produttore mondiale di nocciole, rappresentando circa il 70% della fornitura mondiale totale. Il paese ha esportato 344.379 tonnellate di nocciole in 122 paesi nel 2021, secondo l’Unione degli esportatori di nocciole e prodotti a base di nocciole del Mar Nero.

Il caso dei noccioleti della Tuscia, in Italia

Ma le questioni problematiche relative ai noccioleti che lavorano anche per Ferrero non riguarda solo la Turchia ma anche l’Italia, come hanno raccontato Rossella Cravero e Carolina Peciola in un’inchiesta pubblicata sul numero di dicembre 2019 del Salvagente, che riportiamo di seguito

Riserve idriche compromesse, alghe rosse, cianobatteri, acque non più potabili e suolo a rischio aridità: sono solo alcuni degli effetti dell’agricoltura intensiva che si è creata intorno alla coltivazione delle nocciole. E se da una parte c’è chi lancia l’allarme per modificare pratiche dannose, dall’altra articoli di giornali e prese di posizione ambientaliste finiscono in procura per procurato allarme. Il sindaco di Caprarola Eugenio Stelliferi ha infatti deciso di andare all’attacco contro quello che lui definisce “terrorismo psicologico”. Tutto nasce dalla crescente richiesta di nocciole da parte delle aziende dolciarie, che ha indotto una corilicoltura intensiva che, come tutte le monocolture, rischia di stravolgere equilibri ambientali ed economici.

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I Comuni del Biodistretto della via Amerina e delle Forre hanno deciso di fare quadrato intorno alla nocciola. E così il Lazio, prima regione italiana per produzione (45.967 tonnellate all’anno nel 2017) intravede una nuova via, più sostenibile per l’ambiente e per il prodotto.

La lotta guidata

Se fino ad oggi la corilicoltura, soprattutto a livello intensivo, ha significato pesticidi nel terreno, consumo di acqua e utilizzo di fitofarmaci per avere un prodotto aggredito il meno possibile da insetti come la cimice, e con una qualità che viene dettata dalle esigenze delle industrie dolciarie, ora c’è chi alza la testa e rivendica una agricoltura consapevole. La prima strategia messa in campo è la lotta guidata che riduce il numero dei trattamenti chimici rispetto agli interventi a calendario, che invece non tengono conto dell’effettiva necessità di operazioni fitosanitarie.

Ma c’è di più: il Biodistretto (primo in Italia ad essere riconosciuto a livello di legge regionale per la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile del territorio) ha messo a punto un’ordinanza che sarà adottata da tutti i Comuni che ne fanno parte, stabilendo delle linee guida che dovranno essere osservate su tutto il territorio interessato. I punti cruciali sono tre, come spiega Pietro Piergentili, vicesindaco di Corchiano, comune viterbese che già dal 2015 ha iniziato a sperimentare questa strategia che oggi è ormai una realtà per tutto il territorio di Corchiano: “Al primo posto c’è la difesa integrata che consente di utilizzare il chimico solo quando non ci sono altri mezzi a disposizione. È un passo che segna la logica del cambiamento andando dal convenzionale al biologico. Abbiamo poi stabilito la messa al bando del glifosato e di tutti i neonicotinoidi, ossia i principi attivi che stanno sterminando le api. Poi ci siamo concentrati sulle acque”.

Ferrero il primo “consumatore”

Ma vediamo nello specifico perché è così importante il modo in cui sono coltivate le nocciole. Per capirlo ci vengono in aiuto un po’ di cifre. L’Italia rappresenta oggi il secondo produttore mondiale coprendo il 12% della produzione, prima di noi c’è la Turchia, da cui arriva il 70% del prodotto. Il colosso mondiale che più si avvale di nocciole è naturalmente la Ferrero, che per la sua Nutella ha bisogno di preservare il proprio approvvigionamento dalle crisi internazionali.

Da qui l’enorme espansione del mercato italiano. Se la crescita del business nostrano è certamente un bene dal punto di vista economico, esiste l’altra faccia della medaglia: “La nocciola è una grande risorsa – afferma Famiano Crucianelli, presidente del Biodistretto – ma se utilizzata in modo improprio diventa un problema. Bisogna fare chiarezza: le nocciole per il nostro territorio sono una risorsa, con i nostri 25mila ettari siamo un polo di interesse nazionale, ma dobbiamo fare attenzione a non scivolare in una insostenibilità ambientale e sociale. La nocciola è sempre stata presente nel nostro territorio, la ricordo da quando ero bambino – spiega ancora Crucianelli – ma nella nostra zona sta diventando una monocoltura e questo comporta la perdita della biodiversità e rende il territorio molto più fragile”.

La coltivazione intensiva che si sta praticando porta un uso sconsiderato di pesticidi e concimi chimici oltre a trattamenti intensivi necessari a creare un prodotto con standard che sono fuori dalla logica naturale. Basti ricordare che le nocciole un tempo erano arbusti ad altezza uomo e che adesso arrivano ad essere piante “gonfiate” che raggiungono anche i 4 metri di altezza. “Inoltre – aggiunge Crucianelli – c’è un aspetto sociale. Un ettaro di terra con un noccioleto avviato oggi può costare 80mila euro, 40/50 mila euro è la richiesta per il solo terreno. Questo porta alla concentrazione di proprietà in mano di pochi e gli agricoltori si stanno trasformando in braccianti che assecondano le richieste delle grandi aziende alimentari”. Il vicesindaco di Corchiano, Pietro Piergentili, spiega come la battaglia debba essere fatta su più livelli per dare i suoi frutti: gli agricoltori, le associazioni di categoria, le organizzazioni dei produttori, i cittadini che hanno formato un comitato di salute pubblica. “Noi vantiamo una sensibilità molto spiccata, emettere un’ordinanza dove addirittura il comitato della salute pubblica si preoccupa di farla affiggere su tutte le strade vicinali del Comune sta ad indicare che c’è il consenso di tutti. Siamo riusciti a raggiungere un accordo con Assofrutti, la più grande associazione di produttori. Per far riconoscere una fascia di valore più alta e quindi un prezzo più congruo, anche per i frutti che presentano una maggiore percentuale di cimiciato (la contaminazione da parte della cimice che rende un po’ più amaro il frutto, ndr)”.

Fertilizzanti e acqua

Tecniche di fertilizzazione e irrigazioni equilibrate sono gli altri due aspetti regolamentati per la salute di acqua e suolo.

“Se utilizziamo solo il chimico tra qualche decennio avremo solo deserto, l’humus, la parte attiva del suolo, potrebbe non esserci più e non dare più sostanze organiche nutritive al terreno. Allora – si chiede Pietro Piergentili –  come fare? Abbiamo cercato di fare una sperimentazione con il 50% di concimazione biologica, utilizzando la parte bio organica l’inverno e dando additivi di sintesi in primavera quando c’è il frutto. Per l’acqua, siamo partiti nel 2019 con una sperimentazione con due aziende, che hanno impiantato centraline collegate con sensori di umidità sotto le piante, riuscendo a conoscere la reale umidità del terreno e conteggiare di conseguenza quello che è l’apporto idrico necessario. I dati parziali dimostrano che possiamo risparmiare quasi il 50% di acqua mantenendo la giusta umidità per la pianta”.

E se le buone norme sono certamente un grande passo in avanti, resta poi il problema dei controlli. Il presidente del Biodistretto chiede infatti che il prefetto incrementi i controlli affinché questo tipo di normativa venga applicata e scattino invece le sanzioni per chi non la rispetta.