La class action è uno strumento di difesa dei diritti dei cittadini e dei consumatori. In America è stato incentivato anche grazie al successo del film sulla storia dell’eroina Erin Brockovich contro le multinazionali potenti. In Italia, entrato in vigore nel 2008, non è mai decollato pienamente. Ora dovrà superare la prova della tragedia del crollo del Ponte di Genova.
Uno degli strumenti a disposizione dei cittadini, per la difesa dei propri diritti, è la class action. La parola class action probabilmente rimanda al devastante uragano Katrina che nell’agosto 2005 uccise quasi 2mila cittadini di New Orleans, impoverendo ancora di più una delle aree più socialmente depresse dell’America. Molti dei sopravvissuti al disastro, costato 160 miliardi alle casse pubbliche degli Stati Uniti, fecero istruire una class action, ossia un’azione collettiva risarcitoria per il degrado e l’abbandono di alcuni quartieri residenziali popolari, ignorati dalle amministrazioni politiche e governative prima dell’arrivo della tempesta. Quell’azione doveva portare a una riqualificazione della città e bonifica sociale dalla povertà, dal degrado e dalla trascuratezza cui è sempre stata destinata.
Cos’è una class action
La class action, dunque, è un’ “azione collettiva” (traduzione dall’inglese class action). Più specificamente un’azione legale condotta da uno o più soggetti che, membri di una determinata categoria, chiedono che la soluzione di una questione comune di fatto o di diritto avvenga con effetti ultra partes per tutti i componenti presenti e futuri della categoria.
Il fatto che sia collettiva è la sua principale caratteristica. Infatti con la class action è possibile trattare, in un unico procedimento legale, più domande di risarcimento connesse allo stesso caso.
La class action, quindi, prevede la richiesta di risarcimento, ad esempio nei casi di illecito plurioffensivo (cioè che danneggia una comunità, più persone).
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L’essere collettiva comporta vantaggi anche per l’economia processuale: una riduzione della spesa pubblica e delle spese del singolo cittadino che si sente offeso o negato nell’esercizio di un suo diritto.
È uno strumento di potere contro i potenti. Infatti, l’azione collettiva è spesso utilizzata dai cittadini per tutelarsi ed ottenere risarcimenti nei confronti delle multinazionali. Ad esempio: una potente compagnia petrolifera che intende trivellare a largo della costa di una comunità che si sente minacciata. O un alimento ritenuto tossico che minaccia la salute pubblica.
Per questo la class action è anche uno strumento di tutela dei consumatori nel mercato globale.
Nel modello anglosassone, singoli cittadini e studi legali possono promuovere azioni collettive, e la legittimazione ad agire non è limitata a singoli soggetti istituzionali qualificati dalla legge, come le associazioni dei consumatori.
L’azione collettiva è senso di appartenenza civico (una collettività) ma deve conciliarsi anche con il diritto di difesa del singolo cittadino. Tanto è vero che nel diritto statunitense il ricorrente deve essere informato del suo diritto di non aderire all’azione collettiva in tutte le fasi del procedimento, dall’avvio alla sentenza. Qualora il risarcimento risultasse penalizzante, il ricorrente conserva il diritto di rifiutare e intraprendere un’azione individuale.
Diversamente, l’azione collettiva potrebbe essere strumentalizzata da ricorrenti che, promuovendo l’azione per primi in accordo alla controparte, accettano risarcimenti o transazioni di minimo importo, vincolanti anche per gli altri ricorrenti.
La class action in Italia
Il primo tentativo del Parlamento italiano di introdurre nel nostro ordinamento giuridico la tutela collettiva dei consumatori avvenne durante la XIV Legislatura: nel corso dei 5 anni del governo Berlusconi, fu avviato il progetto di legge di iniziativa parlamentare a firma del deputato Bonito (Democratici di Sinistra-L’Ulivo) e altri firmatari. Il progetto di legge non si prefiggeva di istituire la figura giuridica delle azioni collettive, ma si limitava a modificare un articolo della legge n. 281 del 30 luglio 1998 per prevedere “il risarcimento dei danni e la restituzione di somme dovute direttamente ai singoli consumatori e utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti plurioffensivi […] che ledono i diritti di una pluralità di consumatori e di utenti”.
L’iter parlamentare si arenò al Senato, dove non fu nemmeno avviato l’esame da parte delle commissioni competenti di Giustizia e Industria-Commercio-Turismo. Il progetto prevedeva, all’articolo 2, la legittimazione attiva nel Cncu (Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti), anche delle associazioni di investitori, oltre alle associazioni di consumatori.
Questa tipologia di azione legale entrerà in vigore in Italia con la legge finanziaria del 2008, con modifiche al Codice del Consumo, per dare la possibilità di partecipazione anche ai consumatori individuali. Tuttavia ci vorrà molto tempo perché la class action all’italiana entri nel Codice di procedura civile (necessario per chiedere un risarcimento del danno). Questo accadrà a seguito della riforma del 2019. Nel maggio 2021 la class action in Italia non è più disciplinata dal Codice del Consumo, bensì dal Codice di procedura civile, regolamentando meglio la materia di azione di classe.
Chi può proporre una class action?
L’azione collettiva in Italia può essere intrapresa da un’organizzazione, un’associazione senza scopo di lucro regolarmente iscritta a condizione che lo statuto preveda anche la tutela dei diritti individuali omogenei.
Può essere avanzata anche da un componente della classe presumibilmente lesa nei diritti.
Sia l’individuo, che i gruppi, possono agire nei confronti di un’impresa o di un ente gestore di servizi pubblici o di pubblica utilità autore di una condotta lesiva dei diritti recriminati, per chiedere l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
Come promuovere una class action
La domanda per intraprendere la class action si presenta con ricorso esclusivamente davanti alla sezione specializzata in materia di impresa che è competente per il luogo in cui ha sede la parte resistente, cioè l’azienda (o l’ente) contro cui viene promossa l’azione.
Il procedimento è regolato dal rito sommario di cognizione, più veloce e meno costoso, definito con sentenza da emettere entro i 30 giorni successivi alla discussione orale della causa. Non può essere disposto il mutamento del rito.
Il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza devono essere resi pubblici entro 10 giorni dal deposito del decreto. Tutto in modo trasparente, precisamente nell’area pubblica del portale dei servizi telematici gestito dal ministero della Giustizia.
Dopo 60 giorni dalla data di pubblicazione del ricorso non possono essere avanzate ulteriori azioni di classe sulla base dei medesimi fatti e nei confronti del medesimo resistente.
Il tribunale deciderà se il ricorso (class action) è ammissibile o meno.
Quando viene respinta una class action
Entro 30 giorni dalla prima udienza la domanda è dichiarata inammissibile se si accertano più, o anche una delle seguenti condizioni:
- Se la richiesta è manifestamente infondata;
- Se il Tribunale non ravvisa omogeneità dei diritti individuali tutelabili (se un diritto di un singolo cittadino non è garantito dalla class action);
- Quando il ricorrente versa in stato di conflitto di interessi nei confronti del resistente;
- Se il ricorrente non appare in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei fatti valere in giudizio.
Quando l’istanza è dichiarata inammissibile il ricorrente (chi propone la class action) può riproporre l’azione di classe qualora si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto.
Alcuni esempi di class action
Questo strumento di tutela dei cittadini e consumatori è entrato nella conoscenza popolare soprattutto attraverso la cinematografia. È stato proprio il film Premio Oscar “Erin Brockovich – Forte come la verità”, tratto da una storia vera, ad affrontare per la prima volta il concetto di class action negli Stati Uniti. Un film che ha raggiunto tutti i canali della distribuzione nel mondo occidentale, aprendo il dibattito ancora acceso sull’azione collettiva e la difesa dei diritti dei cittadini contro i potenti.
Erin Brockovich (nella pellicola interpretata da Julia Roberts, film che le valse la statuetta d’oro) è oggi un’attivista statunitense di 62 anni. Segretaria precaria di uno studio legale e madre trentenne di tre figli, libera sentimentalmente dopo due divorzi, indaga sulla Pacific Gas and Electric Company che ha contaminato le falde acquifere di Hinkley, una cittadina californiana, provocando tumori ai residenti. Grazie alla sua intraprendenza, il colosso dell’energia fu costretto a pagare il più grande risarcimento nella storia degli Stati Uniti: 333 milioni di dollari ai più di 600 residenti di Hinkley, minacciati dall’inquinamento del cromo esavalente.
La class action contro Autostrade italiane
L’ultima class action italiana in ordine temporale sarà avviata contro Autostrade a seguito del crollo del Ponte Morandi che il 14 agosto 2018 causò la morte di 43 persone. Non è stata ancora intrapresa, ma a oggi ha raccolto la firma di ben 11mila cittadini liguri.
Si è parlato molto spesso dei limiti della class action all’italiana, di fatto operativa dal 2010, e che andrebbe riformata. Nel caso della tragedia di Genova, l’azione collettiva è stata affidata allo studio legale dell’avvocato, ex parlamentare Mattia Crucioli. Con questa class action si calcolerà un danno di quasi 3000 euro per ciascun cittadino.
Il legale sostiene che questa sia “un’azione innovativa, la prima del genere in Italia, perché intende tutelare i residenti in un territorio. Il tribunale di Roma si troverà per la prima volta di fronte a uno strumento di questo tipo, non c’è giurisprudenza sul tema, dato che prima l’azione di classe in Italia era prevista solo per i consumatori”.