A farci ammalare sono i cibi ultraprocessati non le calorie

cibi ultraprocessati

Scegliere alimenti con un profilo nutrizionale migliore non basta a tenere sotto controllo alcuni fattori di rischio per la salute: dovremmo imparare a tenere conto anche del loro grado di lavorazione e limitare il più possibile il consumo di cibi ultraprocessati come biscotti, merendine, perfino yogurt. È quanto suggerisce un nuovo studio italiano 

La bassa qualità nutrizionale degli alimenti non spiega (da sola) il rischio aumentato di mortalità. E di conseguenza, tutti i sistemi di etichettatura che classificano gli alimenti sono da un punto di vista nutrizionale non sono da preferire. È la conclusione cui giunge uno studio italiano, condotto dai ricercatori dell’Irccs Neuromed di Pozzilli su 22.895 adulti italiani (età media 55 anni, 48% uomini) che fanno parte dello Studio Moli-sani, una ricerca sui fattori di rischio genetici e ambientali per malattie cardiache e cancro. Ne abbiamo parlato con Marialaura Bonaccio, epidemiologa del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli e primo autore dello studio.

Iniziamo dal principio, dottoressa, cosa sono i cibi ultraprocessati e come si riconoscono al supermercato.

Non è un’attività semplice perché, innanzitutto, non esiste una definizione univoca di cibi ultraprocessati. Nel nostro studio abbiamo preso in considerazione la classificazione NOVA, un sistema brasiliano che ordina gli alimenti in base all’intensità della trasformazione a cui essi sono stati sottoposti. In linea generale (ma ci sono delle eccezioni), un alimento che contiene più di 5 ingredienti è da considerarsi ultraprocessato, in altre parole si tratta di un alimento che ha preso la sua identità originaria subendo diverse trasformazioni industriali.

Ci faccia qualche esempio

Parto da quelli più scontati: sono alimenti ultraprocessati le merendine, i biscotti. Ma l’elenco è lungo e comprende anche alimenti che vengono molto spesso consigliati dai nutrizionisti in tutte le diete a basso regime calorico: mi riferisco alle gallette di riso, alle fette biscottate, allo yogurt magro. Si tratta, sicuramente, di alimenti a basso contenuto calorico – e quindi perfetti per chi deve tenere sotto controllo le calorie – ma non sono sani perché hanno subito un procedimento industriale molto lungo. E finché le calorie saranno più importanti del numero delle lavorazioni che un cibo subisce, purtroppo, i tassi di obesità, con tutte le conseguenze che questa patologia comporta, sono destinati a non diminuire.

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…che poi è la conclusione cui è giunto il vostro studio

Sì. Abbiamo utilizzato due sistemi di classificazione degli alimenti in relazione alla mortalità: il Food Standards Agency Nutrient Profiling System (FSAm-NPS), utilizzato per la compilazione dell’etichetta della confezione con codice Nutri-Score (usato in Francia per dare indicazione sui valori nutrizionali), e la scala NOVA. I dati sulla mortalità sono stati raccolti nell’arco di 14 anni. I risultati hanno mostrato che i partecipanti nel gruppo più alto dell’indice FSAm-NPS (con un’alimentazione meno sana) avevano un rischio di morte prematura per qualsiasi causa maggiore del 19 per cento e un rischio di morte per malattie cardiovascolari superiore del 32 per cento rispetto al gruppo più basso (con una dieta più sana). I risultati erano simili quando il confronto veniva effettuato ricorrendo alla  scala NOVA (19% e 27% di aumento del rischio di mortalità per tutte le cause e cardiovascolare, rispettivamente).

Lo studio mette in luce un’ulteriore inadeguatezza del Nutri-score?

In realtà, il sistema di etichettatura francese già penalizza la maggior parte degli alimenti ultraprocessati: l’80% dei cibi contraddistinti dalle lettere D ed E hanno appunto subito più di 5 trasformazioni. Tuttavia questa cosa non è assolutamente visibile nel giudizio finale che vediamo sulle confezioni. e invece il consumo di alimenti ultraprocessati è un fattore di rischio indipendente.

Di che tipo di rischio parliamo?

Abbiamo notato un rischio aumentato del 30% per la malattie cardiovascolari e del 17% di mortalità per tutte le cause.

Ci sono fasce d’età più esposte?

Il nostro studio non ha considerato la suddivisione per fasce d’età quindi non mi permette di indicare un’incidenza maggiore per talune fasce della popolazione.

Che cosa suggerisce il vostro studio?

Lo studio invita a usare un sistema di etichettatura per i prodotti commerciali più dettagliato rispetto a quello attuale che tenga conto anche del gradi di lavorazione del prodotto. Bisognerebbe cambiare paradigma, ma non è facile.

Come si insegna alle persone a mangiare bene?

Prendo in prestito una frase di Michael Pollan, giornalista e saggista statunitense: “Don’t eat anything your great grandmother wouldn’t recognize as food. “When you pick up that box of portable yogurt tubes, or eat something with 15 ingredients you can’t pronounce, ask yourself, “What are those things doing there?”. Che tradotto più o meno letteralmente invita a diffidare da quei cibi che contengono ingredienti che la nonna non riconoscerebbe. Può essere un’ottima bussola.