L’utilizzo della biopsia liquida per guidare le cure del tumore al colon

tumore

Sono incoraggianti le scoperte, in ambito medico, sulla guida alla cura del tumore al colon. Importante il contributo dello studio italiano pubblicato su Nature Medicine 

Il tumore al colon rappresenta, nei paesi occidentali, il secondo tumore maligno per incidenza dopo quello della mammella nella donna, e il terzo dopo quello del polmone e della prostata nell’uomo. Questo tumore “big killer” è particolarmente diffuso nella fascia d’età compresa tra i 60 e i 75 anni, senza notevoli differenze tra uomini e donne. Sebbene l’incidenza sembri aumentare di anno in anno, si è assistito ad una riduzione della mortalità. Al conseguimento di questo risultato hanno contribuito i programmi di screening, le strategie preventive e gli interventi terapeutici personalizzati. È in quest’ultimo ambito che si colloca l’utilizzo della biopsia liquida, una tecnica che permette di guidare il trattamento del tumore al colon metastatico.

Lo studio italiano CHRONOS

CHRONOS è uno studio interventistico coordinato dall’Irccs di Candiolo (Torino), in collaborazione con il Niguarda Cancer Center di Milano. Lo studio, che ha avuto il merito d’essere pubblicato su Nature Medicine, ha permesso di personalizzare le cure dei pazienti affetti da tumore del colon retto. La biopsia liquida è un test non invasivo, che consiste in un semplice prelievo di sangue (a volte urina o saliva) del paziente e permette di esaminare il Dna tumorale. Lo scopo dello studio era quello di individuare il momento più opportuno per eseguire una seconda terapia bersaglio sui pazienti, considerando l’intervallo temporale in cui le cellule tumorali sono più vulnerabili. Di fatto, le chemioterapie per il tumore del colon retto sono terapie a bersaglio molecolare rivolte contro il recettore di crescita EGFR. Non è infrequente, per i pazienti, sviluppare resistenza al farmaco. È chiaro che la sopravvivenza del paziente dipenda dalla capacità della terapia di rallentare la progressione tumorale. Ma come farlo, se si sviluppa resistenza?

La biopsia liquida entra in gioco proprio per questa ragione, individuando il momento più opportuno (il momento in cui il cancro si rilassa, ed è più vulnerabile alle terapie) per effettuare la cosiddetta “rechallenge“, il secondo ciclo terapico. Per farlo, la biopsia va a caccia di alterazioni del Dna tumorale che rivelano una resistenza al farmaco. Ad esempio, è stato riscontrato che i livelli di mutazione del gene KRAS, che rendono inefficaci le cure, oscillano in relazione alla presenza dei medicinali chemioterapici utilizzati nella terapia del tumore del colon retto. I risultati sono stati estremamente incoraggianti. Stando ai dati riportati dal direttore del Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare dell’Ospedale Niguarda di Milano, si è ottenuto un controllo di malattia oncologica del 63%.

Progetto Pegasus: verso cure personalizzate

Il lavoro pioneristico CHRONOS ha dato un forte impulso allo sviluppo di nuovi progetti, entro cui si colloca il trial Pegasus, sostenuto da Fondazione Airc e coordinato da Alberto Bardelli, ordinario del Dipartimento di Oncologia dell’Università degli studi di Torino e direttore dell’Unità di Oncologia molecolare presso l’Istituto di Candiolo Fpo- Irccs. Lo studio si propone, tramite biopsia liquida, di rendere più preciso il percorso terapeutico post-chirurgico. Ci si propone, per mezzo di biopsia liquida e genomica computazionale, di individuare le “spie molecolari” della presenza di micro-metastasi. Questo permetterà di distinguere individui a basso ed alto rischio di recidiva, consentendo ai medici di optare o meno per una chemioterapia post-chirurgica. Nel nuovo studio Pegasus verranno coinvolti 140 pazienti, in cinque istituti clinici italiani (Istituto oncologico veneto Irccs, Padova; Istituto nazionale dei tumori, Milano; Niguarda Cancer Center, Milano; Istituto europeo di oncologia, Milano e Policlinico San Martino di Genova) e tre in Spagna. Si spera che la biopsia liquida possa risparmiare inutili chemioterapie a pazienti che non sono a rischio di recidivare, riservandola solo a coloro che presentano elevati livelli di Dna tumore circolante.