Mario Capanna è stato uno dei leader del ’68 italiano e animatore, poi, del dibattito sugli Ogm. Dal 1989 ha iniziato produrre extravergine e ha deciso di dedicare un libro proprio a ulivo e olio. E ci racconta quanto la passione per questa pianta e le sue produzioni abbiano in comune con una visione del mondo diversa da quella attuale e il suo impegno di sempre
Mario Capanna è uno dei personaggi di una stagione politica che non c’è più. Leader del 68, animatore di una rivolta generazionale (e non solo), segretario di Democrazia proletaria non ha mai smesso di dare battaglia, non fosse che quella culturale contro lo strapotere delle lobby biotech con la sua Fondazione diritti genetici che nella prima decade del 2000 animò un intenso dibattito in Italia.
Quello che chi non lo conosce bene non può sapere è che Capanna sia un passionale e appassionato coltivatore di ulivo e un grande estimatore di olio.
Chi scrive lo ha scoperto leggendo la sua ultima produzione letteraria, “Evo. La magia dell’ulivo e dell’olio” (Schibboleth editore, 144 pagine, 11 euro). Incuriosito da un titolo in apparenza lontano anni luce dall’esperienza dell’autore, mi sono trovato a leggere le molto gradevoli pagine della sua fatica, immergendomi nel mondo dell’olio, nelle campagne di Città di Castello in cui lo produce (“Non certo un latifondo, tre ettari scarsi in cui mezzo ettaro è di un boschetto di querce”, scrive), accompagnandolo nelle sue passeggiate a piedi o sul trattore, descritte in un libro che è anche un concentrato di metafore, miti, storia e racconti personali che intorno all’olio gravitano.
Un microcosmo che accompagna il lettore verso una conoscenza approfondita dell’olio ma che ogni tanto dalle fronde di questa pianta, simbolica per moltissime culture, ci spinge a riflessioni e temi più politici.
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La prima domanda all’autore, dunque, non poteva che partire da qui.
Capanna, tanto per parafrasare un vecchio slogan del ’68: il personale rimane politico anche quando si parla di ulivi?
Assolutamente sì. E vi è un filo di coerenza rispetto al ’68. All’epoca si amava l’inchiesta, noi non parlavamo se non dopo esserci impadroniti in modo competente di elementi della realtà. E così accade in questo libro.
Colpisce il fatto che la sua esperienza come olivicoltore inizi nel 1989, l’anno della caduta del muro di Berlino. Un rifugio in campagna e l’addio a una stagione di impegno politico?
No, semmai è un andare avanti. Non mi sono messo a piantare alberi qualsiasi, ho piantato gli ulivi, per loro natura longevi, resistenti, inarrendevoli. Come scrivo nel libro tu puoi tagliare, bruciare un ulivo ma lui farà rispuntare i germogli dalla base. Dal punto di vista metaforico era l’antitesi al crollo di mezzo mondo. La storia dell’ulivo è inscindibile da quella dell’uomo, è nei suoi miti, nelle religioni…
Nelle pagine di Evo ribadisci, conti alla mano, quanto dovrebbe costare un olio per ripagare chi lo fa. E descrivi molto bene i rischi di una standardizzazione intensiva come quella che molti industriali italiani vorrebbero, sul modello spagnolo.
Una strada sbagliatissima. Percorrendola noi vanificheremmo l’eccellenza e la tipicità italiana dell’extravergine che non a caso tutto il mondo apprezza e ricerca. Con gli impianti intensivi “alla spagnola” toglieremmo l’eccellenza che qui è legata ai territori, alla loro cultura, alle loro tradizioni. Tutti valori aggiunti che rendono l’olio italiano irripetibile nella sua eccellenza. Non è un caso che abbiamo il record mondiale con oltre 500 cultivar. Sarebbe una scelta autolesionistica.
Del resto l’Italia non ha certo un territorio adatto a coltivare intensivamente. Ha invece una vocazione a produzioni particolarmente di pregio. A proposito, uno dei capitoli ci ha fatto scoprire la Borgiona, una cultivar dalla quale ottieni un olio che ami particolarmente.
Quest’olio che ha un preminente sapore di pomodoro che è una meraviglia. Quando mi esalto dico che è un’insalata da solo.
Non è l’unico capitolo che fa venire l’acquolina in bocca al lettore. C’è anche l’esaltazione del raperonzolo…
È una verdura rara, tipica ma assai eccellente se condita con olio buono. Celebrata nella letteratura dalla bellissima favola dei fratelli Grimm, è un altro di quei valori legati alla terra e alla sua conoscenza.
Nel libro ci sono diversi spunti, uno è certamente quello della biodiversità a forte rischio. Ogm, cultura industriale dell’intensivo e della chimica in campo. Anche i riflessi di questa guerra stanno portando a scelte che la mettono in pericolo.
È chiaro che la biodiversità è una cifra fondamentale, a maggior ragione oggi con una guerra come quella in corso. Proprio in un paese come l’Italia, le cui diversità climatiche, tettoniche e territoriale permettono di moltiplicare e valorizzare questa ricchezza.
Le spinte in Europa e in Italia sembrano però andare in direzione opposta, verso allevamenti e colture intensive…
Io sono relativamente ottimista. C’è un ritorno dei giovani verso l’agricoltura. Quella moderna che sviluppa il meglio delle tradizioni. Un elemento in controtendenza che permette di resistere ai processi di massificazione.
Fa riflettere nel suo libro, il capitolo dedicato alla xylella. Un caso emblematico in cui c’è stata una contrapposizione tra movimenti contadini e autorità europee.
È chiaro che i burocrati di Bruxelles hanno preso decisioni senza conoscere la situazione reale del Salento. Quando illustro l’esperienza di Ivano Gioffreda indico qualcosa di incredibilmente reale. Questo ulivicoltore ha dimostrato in campo – non a chiacchiere, non sui libri o su internet – che la xylella poteva essere battuta applicando le antiche regole dell’agricoltura tradizionale. E la cosa incredibile – ne sono stato testimone – è che i famosi esperti si sono rifiutati di andare a vedere, a toccare con mano. Un po’ come gli aristotelici al tempo di Galileo si rifiutavano di vedere attraverso il suo cannocchiale perché già la Bibbia gli aveva detto che è il sole a girare intorno alla terra. Un dogmatismo che è il contrario del metodo scientifico.
Chiudo con un’immagine che è una delle tante metafore del suo libro: quella delle formiche che si fanno valere, unite, nei confronti di una coccinella. Crede che si possa tornare a unirsi su valori condivisi per fare politica attivamente in questo paese?
Anche qui sono cautamente ottimista. Vedo le nubi nere che si addensano all’orizzonte, ma penso che siamo vicini a toccare il fondo della delega fine a se stessa. Di una democrazia ridotta a finzione, simulazione. Di un’economia che privilegia l’arricchimento di pochi e ignora le condizioni difficili di moltitudini. Pertanto vedo la possibilità che torni a galla lo spirito critico. Ci stiamo rendendo conto che quella politica per cui ogni tanto votiamo, non è in grado di risolvere i problemi. Non a caso i partiti hanno un indice di gradimento tra i più bassi della storia. Penso che ci si renderà conto che solo quando le idee possono camminare sulle gambe delle persone si possono realizzare veri cambiamenti.
A proposito di spirito critico, come è finita la storia delle cause intentate dai produttori di olio al Salvagente? Io dedico un passaggio del libro proprio a questa vostra inchiesta.
Grazie, lo abbiamo apprezzato. Continuiamo a battagliare, Capanna. Anche contro richieste di risarcimenti milionari…
Vincerete, non ho dubbi, conoscendo la vostra serietà e il vostro rigore. Alla fine la verità ha più forza delle menzogne.
Un augurio un po’ più largo di quello relativo alle nostre vicende. Speriamo