Se oggi attivassimo un nuovo Piano Marshall dove gli Usa e il Canada, che insieme producono circa 85 milioni di tonnellate di grano per anno, si potrebbe tamponare la crisi legata alla guerra e ridurre i costi per i paesi poveri
La priorità assoluta che oggi è sul tavolo è data dalla sospensione di tutte le forme di ostilità e di violenza che sono in corso da oltre tre mesi. Una diversa priorità che si sta facendo strada e che trova sempre più peso è quella di limitare i danni di una crisi alimentare che è alle porte se non si attuano delle contromisure efficaci, sostenibili e rapide.
La reale misura delle ricadute di una nuova crisi alimentare non è da ricercare nell’Europa o nei paesi più ricchi del pianeta.
Le nostre strategie per perimetrare gli effetti sono sufficienti al momento e vanno dalla riduzione degli sprechi, all’uso di cereali alternativi o all’utilizzare più risorse economiche per far fronte alla maggiore domanda che si è creata.
Al contrario, i paesi del continente africano o asiatici che basano diversamente il loro stile di vita alimentare e la struttura sociale sono realmente a forte rischio di crisi sociali o di default economici. Tutti fattori di innesco di nuove tensioni sociali che si riverbererebbero sui paesi vicini e più ricchi rendendoci parte indirettamente di una crisi alimentare.
Il problema è attualmente focalizzabile su alcuni prodotti alimentari. L’Ucraina non è il granaio del pianeta e del resto la sua superficie coltivata, dieci volte meno dell’immenso sub-continente indo-cinese, lo spiega chiaramente.
Il suo ottavo posto come produttore con oltre 25 milioni di tonnellate di grano per anno rende merito alle loro capacità di avere alte rese, tale ammontare è pari alla metà del grano prodotto negli Usa e al 20-25% della produzione cinese e indiana rispettivamente.
Su queste basi si potrebbe trovare una soluzione parallela da affiancare all’invio, eticamente o meno accettabile, delle sole armi sul campo di battaglia.
La storia ci ricorda che il 5 aprile del 1948 fu attivato il Piano Marshall di aiuti ai paesi vincitori o usciti sconfitti della Seconda guerra mondiale come Francia, Italia, Turchia etc. e il piano fu sostenuto per oltre l’80% dei costi totali dai solo Usa e Canada.
Inoltre di questi aiuti, pari a 13 miliardi di dollari di allora, oltre il 33% fu destinato ad aiuti alimentari e il 29% per l’acquisto di fertilizzanti. Se oggi attivassimo un nuovo Piano Marshall dove gli Usa e il Canada, che insieme producono circa 85 milioni di tonnellate di grano per anno, si potrebbe tamponare la crisi del grano riducendo i costi per i paesi poveri e aumentando le esportazioni verso di queste aree a rischio evitando così rischi di default economici come si sta verificando in Zambia, Indonesia etc. Un Piano Marshall che potremmo definire preventivo per queste zone per cui non dovremmo soccorrere le popolazioni in crisi alimentare ma impedire che ci arrivino e, contemporaneamente, agirebbe con una modalità probabilmente più etica.
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Uno sforzo di solidarietà che potrebbe depotenziare uno degli strumenti più incivili oggi schierati sul campo ovvero portare alla fame innocenti e deboli alla stregua di come si faceva durante gli assedi ai castelli medioevali.
Questa inversione di paradigma, aiutare non dopo avere registrato una crisi, ma prevenirla comporterebbe sicuramente meno costi e meno vittime, una depressurizzazione di aree socialmente instabili e un minore rischio di spinte estremiste di qualunque provenienza.
Chiediamo a Cina o India o altri paesi che non si sono allineati alle attuali politiche di contenimento della guerra, di agire per impedire la crisi alimentare e, indirettamente, disinnescherebbero parzialmente una fonte di pressione sia sui paesi più ricchi del pianeta che sull’enorme numero di paesi a rischio.
È pura solidarietà totalmente immersa nel solco di qualunque visione, religiosa, etica, pragmatica e sociale si voglia prendere in considerazione.
La Scuola Medica Salernitana dice che “prevenire è meglio che curare”, tanta saggezza in meno di trenta caratteri.