Pochi, semplici passaggi che ci consentono di distinguere con certezza una colomba artigianale da una industriale, e un dolce di qualità da uno scadente. Fondamentale l’alveolatura, ma non solo
Al cioccolato, con mandorle e uvetta, pandorata, al pistacchio di Bronte, all’ananas. Girando per i negozi e supermercati in questi giorni che precedono la Pasqua, vi accorgerete di quanti sforzi facciano le aziende dolciarie per allargare il mercato delle colombe. Tentativi, per la verità, quasi disperati visto che gusti e scelte degli italiani rimangono ancorati alla tradizionale ricetta base, quella elaborata all’inizio di questo secolo da Angelo Motta, lombardo geniale che modificò la ricetta del pan dolce e, con all’aggiunta di glassa di mandorle e granella zuccherina, diede vita alla Colomba.
L’unica deroga, semmai, è quella degli oppositori dei canditi (in genere si tratta dei più piccoli) preferiscono i dolci che non li prevedono. Per il resto, una volta tanto, i consumatori di dolci da ricorrenza non cedono facilmente all’innovazione e alla pubblicità e, almeno nel campo della golosità, si piazzano a pieno titolo tra i conservatori.
La colomba, al pari di panettone e pandoro, è un prodotto da forno a lievitazione naturale, in pratica un dolce che risente molto più di altri del lungo periodo in cui i lieviti trasformano gli zuccheri disponibili. In parole povere, anche per le grandi multinazionali dotate di complessi laboratori, ottenere delle buone colombe è sempre una scommessa che ogni anno si ripete senza la certezza di conseguire lo stesso risultato dell’anno precedente. Non è un caso, allora, che “Il Salvagente” che per molti anni ha ripetuto ogni Pasqua lo stesso test sulle medesime marche ha molto spesso, ottenuto giudizi differenti.
Ma se volessimo valutare da soli? Qualche strumento c’è.
Sullo scaffale
La scatola. Non fatevi ingannare dal packaging. Se a prima vista tutte le colombe sono uguali, non fidatevi e cercate di capire, prima di fare la vostra scelta magari ingolositi da un prezzo in apparenza molto basso, quanto dolce state per mettere nel carello. Potrà capitarvi, infatti, di scoprire che la colomba che sembra più conveniente in realtà pesa solo 750 grammi anche se ne dimostra di più.
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Gli ingredienti. Una lettura attenta delle etichette può permettere al consumatore di orientarsi tra pregi e difetti della materia prima utilizzata e, quindi, di avere un’idea di ciò che si troverà di fronte al momento dell’assaggio. Cosa aspettarsi da una colomba “a regola d’arte”? Poche cose, rigorosamente riportate in etichetta: farina, burro, uova e latte (meglio se specificatamente freschi), canditi, mandorle e zucchero. In qualche caso, però, oltre alle materie prime essenziali, compaiono elementi estranei alla ricetta tradizionale come l’uva sultanina o oli vegetali, oltre ad aromi e conservanti di cui una buona ricetta potrebbe fare a meno.
Improvvisatevi assaggiatori
Poche regole per capire, una volta a casa, se la colomba che avete servito è un buon acquisto o meno.
L’apparenza. Non sempre l’aspetto inganna. Per il test è fondamentale osservare l’aderenza al pirottino (la carta che protegge la base e parte dei fianchi della colomba): a tale scopo si misurano i centimetri di sviluppo del centro della colomba. Una volta tagliato il dolce, si controlla invece che la crosta non appaia slegata dalla pasta. Altra verifica fondamentale è quella dell’alveolatura, ossia dei buchi che si creano nella pasta per l’azione dei gas sviluppati con la lievitazione. Le imperfezioni, in questo caso, sono segnalate dalla presenza di bolle, grumi o buchi troppo grandi.
Un’occhiata finale, prima dell’assaggio, va data alla glassa che ricopre il dolce. Quella perfetta copre bene, è regolare e senza bruciature, appare liscia con mandorle e granella distribuite in modo omogeneo.
Nel cuore del dolce. Una volta aperta la colomba bisogna pazientare ancora prima di concedersi la degustazione. La prima osservazione riguarda l’odore che si percepisce appena tolto l’involucro in cellophane. Il profumo deve mantenersi nel difficile punto di equilibrio tra sentori intensi ma non pungenti.
Finalmente è il momento dell’assaggio. La prima considerazione è sulla consistenza della pasta, che al palato deve presentarsi soffice, non gommosa, e non deve dare sensazioni di difficoltà nella masticazione e nella deglutizione.
È la volta poi della prova-sapore. Anche in questo caso la colomba deve dare segno di equilibrio. L’ideale è la pulizia del gusto, ossia l’assenza di note anomale e l’emergere di un sapore ricco e rotondo.
Per chi li apprezza, prendiamo in considerazione anche i canditi. I migliori risultano morbidi all’assaggio, non ricordano sapori fermentati o salati e lasciano in bocca un retrogusto piacevole e persistente.