Guerra dell’olio, chi usa l’Antitrust per tentare di bloccare i test comparativi

OLIO

L’Antitrust ha definito “pratica commerciale scorretta” l’iniziativa “Zero Truffe” del nostro editore Matteo Fago, comminando una multa di 25mila euro a EditorialeNovanta srl. La decisione, pubblicata sull’ultimo bollettino dell’Autorità, è dettata – a giudizio del Garante – dall’uso del termine “certificazione” che farebbe pensare a un organo istituzionale e al fatto che non sarebbe chiaro da subito al consumatore quali elementi vengono certificati, in che modo e che l’uso della licenza sia a pagamento per l’azienda. La notizia, per un lettore distratto, potrebbe anche fermarsi qui. E a noi sarebbe sufficiente aggiungere che già in fase di istruttoria EditorialeNovanta si era detta disponibile a modificare l’informazione sul bollino secondo i criteri individuati dall’Antitrust. Cosa che farà certamente anche dopo la condanna.

Il test sull’olio bocciato? Falso

Questa sarebbe, però una narrazione decisamente parziale. Non sarà sfuggito il fatto che qualcuno (come ha fatto il Codacons ma non solo) ha scritto che l’Antitrust avrebbe bocciato il nostro test sull’olio, pubblicato a maggio del 2021. E allora partiamo da una costatazione: questo è un falso, come si può agevolmente concludere dalla lettura del bollettino dell’Agcm.

Riavvogliamo il nastro. L’istruttoria Antitrust partiva da tre contestazioni:

1) le modalità di presentazione e attuazione dell’iniziativa Zero Truffe;

2) l’omissione, al primo contatto col consumatore (dunque sul bollino apposto alla confezione), di informazioni essenziali per la comprensione della certificazione

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3) nel riferire, sulla rivista il Salvagente, di un’indagine suscettibile di orientare le scelte del consumatore (il test dell’olio).

Basterebbe leggere la delibera pubblicata dall’Antitrust per comprendere che la condanna si riferisce esclusivamente al solo punto 2. Dunque di certo non all’inchiesta giornalistica sull’extravergine e al test. Difficilmente poteva essere altrimenti, visto che un giornale è soggetto a responsabilità penali e civili stabilite dalla Costituzione e dalle leggi sulla stampa, non certo dal codice del consumo.

Il vero obiettivo di Coricelli, De Cecco, Codacons & Co.

Eppure non si può ignorare che l’Autorità abbia dedicato molte pagine del suo provvedimento a discettare sulla correttezza del nostro test. E non si può ignorare che alla base di questa istruttoria ci fosse proprio il nostro lavoro sull’olio che ha prodotto non poche polemiche nel settore. Per meglio dire: era questo il vero obiettivo di molti dei ricorrenti. Colavita, De Cecco, Coricelli, Assitol (l’associazione dell’industria olearia), non avevano mai digerito gli esiti della nostra inchiesta del 2015, quando risultarono non extravergini 9 bottiglie su 20 acquistate sui banchi dei supermercati e vendute come extravergini. Per quell’inchiesta molti di loro ci hanno querelato in sede penale (con esiti che hanno sempre dato ragione al Salvagente) e qualcuno ha ritenuto di portarci anche di fronte alle sedi civili, come ha fatto Coricelli, chiedendo un risarcimento di 20 milioni di euro. Quest’ultimo procedimento è ancora aperto ma con il nostro secondo test, realizzato a sei anni di distanza trovando vergini 7 bottiglie su 15, si è riaperto il fronte penale, con altre querele. Uno strumento più che legittimo per chi si sente diffamato e le affronteremo serenamente, convinti di aver assolto il nostro dovere di giornalisti e di aver sollevato un problema a cui qualcuno prima o poi dovrà pure dare risposta.

Ha stupito qualcuno, semmai, che nella pletora di ricorrenti ci fosse anche il Codacons, associazione dei consumatori che si è indignata per come un test come il nostro potesse orientare le scelte dei consumatori. Atteggiamento poco spiegabile che ipotizzava conflitti di interessi (inesistenti) tra il giornale e la Monini. Abbiamo chiarito quella vicenda in questo lungo articolo che chi avrà voglia potrà leggere a questo link. Per chi non ne avesse il tempo ci limitiamo solo a riportarne un passaggio: “Oggi la scoperta del Salvagente che forse può rispondere a molte domande, prima fra tutte perché questo intenso rapporto tra Coricelli e Codacons. L’avvocato Mariacristina Tabano, associata dello studio legale Rienzi, già responsabile Ambiente del Codacons è la sorella di Francesco Tabano, direttore commerciale della Coricelli, nonché presidente di Federolio”. Una parentela, confermata poche righe dopo dallo stesso Carlo Rienzi, che forse avrebbe consigliato maggior cautela.

Il bollino? Un paravento per colpire i test

È evidente che il bollino del Salvagente sia stato solo un paravento per un’operazione di più vasta portata: impedire che un test giornalistico possa portare alla luce quello che sarebbe meglio ignorare. Ogni strumento deve essere apparso lecito: perfino ricorrere all’Autorità garante del mercato. La stessa Agcm, va detto per inciso, che sei anni prima aveva preso spunto dalle inchieste di questo giornale (e dai risultati delle analisi dei Nas incaricati dall’allora procuratore Raffaele Guariniello che le confermavano) per indagare e sanzionare per centinaia di migliaia di euro le aziende coinvolte.

Cosa sia cambiato in sei anni nell’atteggiamento di Antitrust è difficile da capire, dato che in questo caso l’Autorità invece di prendere in considerazione un problema che è difficile ignorare nel mondo dell’olio italiano ha deciso di stigmatizzare chi lo racconta. Eppure non sono poche le testimonianze di quanto sia frequente trovare come semplice olio vergine un prodotto fatto pagare per extravergine. Negli anni alla stessa conclusione sono arrivati tanti altri giornali di test e le stesse autorità di controllo. Spesso identificando gli stessi nomi che abbiamo fatto noi attraverso le nostre analisi. Tanto per citare solo gli ultimi due esempi: il test di Altroconsumo che ha trovato come vergini gli oli di 7 aziende (e tra queste anche Coricelli) e la sentenza del Tar che ha ribadito il declassamento dell’olio Coricelli da parte dell’agenzia delle Dogane.

E invece no, Antitrust ha ritenuto opportuno bacchettare il nostro lavoro giornalistico con almeno due passaggi che non solo appaiono francamente sconcertanti ma che farebbero pensare a un censore della libertà di stampa, ruolo che, ne siamo certi, il Garante non voleva esercitare.

Un test non è pubblicità

Il primo passaggio equivoco è che il Salvagente avrebbe dovuto, di fronte alle contestazioni dei produttori, effettuare una prova supplementare di panel test come prevede la normativa comunitaria. L’articolo citato (art.2 del Regolamento 2568/91) obbliga però espressamente a questa ripetizione “le autorità nazionali“. Siamo lusingati che l’Autorità ci consideri tale, ma forse vale la pena ribadire che un giornale non ha (per fortuna) i poteri dei rappresentanti dello Stato e non può certo procedere ai sequestri o irrogare sanzioni.

Il secondo passaggio è conseguente al primo: il rifiuto di effettuare prove d’assaggio supplementari (che nel nostro caso erano state realizzate e ripetute per sicurezza dall’Agenzia delle Dogane, non certo da un gruppo di amici che si esercitavano in un panel test improvvisato in un bar) “appare configurare una violazione dei canoni di ordinaria diligenza professionale ex art. 20 del codice del consumo“. Qui c’è, forse, uno dei punti più oscuri dell’intero provvedimento. L’art. 20 del codice del consumo  si riferisce a chi fa pubblicità e ai produttori, non a chi fa informazione. E non a caso. Sulla stampa i doveri sono diversi, a volte perfino superiori, e sono previsti da tutt’altro codice per una semplice ragione: vanno contemperati con l’articolo 21 della Costituzione che garantisce la libertà dell’informazione.

L’autonomia del Salvagente

Non pensiamo che questo sia un particolare sconosciuto all’Autorità garante, tant’è che – lo ripetiamo – nessuna condanna viene emessa nei confronti del nostro test giornalistico. Dunque l’unica interpretazione possibile è che in tutto il provvedimento ci sia una confusione tra un soggetto commerciale (la nostra casa editrice), le sue iniziative (Zero Truffe) e l’attività di un giornale, che fonda la sua autonomia sui suoi giornalisti e sulla responsabilità del suo direttore.

Una confusione che non siamo disposti ad accettare. Non l’avremmo mai accettata se  l’avesse insinuata il nostro editore (eventualità che non si è mai presentata), tantomeno possiamo accettarla da parte di Antitrust e per questo stiamo studiando le formule per ricorrere al Tar.

Resta il fatto che l’obiettivo di bloccare i test comparativi potrà anche sembrare raggiungibile a chi intende sfruttare questi teoremi per portarli nei tribunali civili e penali e “farcela pagare” ma, come è successo più volte in passato, si scontrerà con il diritto fondamentale a fare informazione libera. Esattamente quella che da 31 anni fa il Salvagente. E che continuerà a fare. Su questo non facciamo un passo indietro.