Il giorno dopo lo stop alla Camera, l’Assemblea di Montecitorio ha approvato alla quasi unanimità due emendamenti identici di Riccardo Magi (+Eu) e della commissione che eliminano dal testo l’equiparazione dell’agricoltura biodinamica a quella biologica. Il biodinamico, dunque, esce dalla proposta di legge sulla tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico. Maria Grazia Mammuccini, Presidente di FederBio, ha dichiarato: “Al terzo passaggio parlamentare, ci aspettavamo l’approvazione definitiva della legge, invece prendiamo atto della decisione unanime del Parlamento di modificare il terzo comma dell’articolo 1. Contiamo adesso di avere una corsia privilegiata al Senato per una veloce approvazione nei tempi che sono stati annunciati durante la discussione parlamentare. Questa legge è urgente e fondamentale“.
A scaldare gli animi era stato proprio il riferimento esplicito all’interno del testo, in alcuni passaggi, ai metodi di coltivazione biodinamici, una tipologia di agricoltura bio che si basa anche su credenze esoteriche e filosofiche non scientifiche. A pesare le forti perplessità di una parte del mondo scientifico, tra cui quelle del premio Nobel Giorgio Parisi, e quelle dello stesso Presidente della Repubblica, Mattarella, che al fisico aveva detto: “”Vorrei rassicurarla, professore, sull’agricoltura biodinamica di cui ha parlato. È una questione che sta in Parlamento e io, notoriamente, non posso pronunciarmi. Ma posso ben dire che, perché diventi legge, vi sono alcuni altri passaggi, anche parlamentari anzitutto, che rendono lontana questa ipotesi”.
Com’è nata la guerra
Ma com’è nata questa guerra sull’agricoltura biodinamica e perché proprio ora? Per decenni, l’agricoltura biodinamica è stata un argomento di nicchia. Del resto, anche oggi le aziende italiane che si dichiarano tali sono stimate attorno alle 400 unità. Un numero esiguo rispetto le 500mila imprese agricole presenti sul nostro territorio, che però può contare su uno zoccolo duro di consumatori affezionati. A far diventare il biodinamico argomento caldo, è stato il dibattito scatenatosi in Senato ad inizio estate del 2021, durante la discussione per l’approvazione della legge sul biologico. Un intervento, in particolare, ha scaldato gli animi: quello della senatrice Elena Cattaneo, che ha accusato i sostenitori del testo di voler legittimare la stregoneria, equiparando il biodinamico al biologico. Ma è davvero così? Nel numero di luglio 2021, il Salvagente ha deciso di dedicare un approfondimento all’agricoltura biodinamica, con l’obiettivo di spiegare ai lettori, al di là dei pregiudizi e dei toni da tifoseria, di cosa si tratta.
Le accuse
Ma torniamo alle accuse: nel suo intervento in Senato, Elena Cattaneo, che è anche una scienziata, dice: “Ho presentato tre emendamenti volti a eliminare almeno il richiamo esplicito e il riconoscimento in via preferenziale a pratiche non solo antiscientifiche, ma schiettamente esoteriche e stregonesche. Mi riferisco all’equiparazione, ai fini del presente provvedimento, tra l’agricoltura biologica e quella biodinamica, una pratica agricola i cui disciplinari internazionali comprendono l’uso di preparati a base – cito testualmente – di letame infilato nel cavo di un corno di una vacca che abbia partorito almeno una volta”. Cattaneo fa riferimento al cornoletame, altrimenti detto preparato 500, utilizzato per fertilizzare il terreno.
Aiab: “È comunque biologico”
Giuseppe Romano, presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica risponde: “I preparati biodinamici sono utilizzabili anche nel bio, dopodiché se li vuoi seppellire, se li vuoi agitare contro la luna, sono altre questioni”. Romano spiega, poi, cosa accomuna e cosa no il metodo biologico e quello biodinamico: “Ad accomunarli è l’attenzione al sistema agroecologico dell’azienda, l’attenzione al mantenimento della fertilità del suolo. In più, rispetto al bio, il biodinamico vuole il ciclo chiuso totale dell’azienda, in altre parole l’autosufficienza degli strumenti necessari per produrre”. Per esempio, le aziende biodinamiche devono avere il bestiame da cui ricavare il letame. Su alcuni sistemi pittoreschi utilizzati dai biodinamici, Roberto Pinton, esperto di biologico, commenta: “Faccio difficoltà a credere che seppellire una vescica di cervo con dentro dei fiori di achillea sia davvero utile alla fertilità del terreno, ma il punto è che al di là di queste bizzarrie in genere gli agricoltori biodinamici usano letame e rotazioni così come i biologici. Poi se ci aggiungono delle superstizioni o delle convinzioni religiose poco cambia”.
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Ma il biodinamico è sicuro e controllato?
Altra domanda essenziale per i consumatori è se il biodinamico sia sicuro e controllato come il biologico. E qui la questione si fa più aggrovigliata. Una versione, la più comune, è che in Italia e in Europa, per essere riconosciuti come biodinamici si debba essere anche certificati bio, e quindi venire sottoposti a tutti i controlli e agli obblighi connessi. Questa convinzione è legata in particolar modo a un passaggio del regolamento Ue 834 del 2007, secondo cui la protezione dai falsi prodotti etichettati come biologici, “dovrebbe valere anche per i derivati e le abbreviazioni di uso corrente di tali termini, utilizzati singolarmente o in abbinamento”. Messa così, anche un vino biodinamico, per esempio, deve essere per forza certificato bio per essere commercializzato legalmente, e infatti il maggior certificatore italiano Demeter, lo richiede alle aziende che vogliono il marchio di garanzia. Ma secondo Ivo Bertaina, di Agribiodinamica, altro marchio di certificazione, “non c’è nessun obbligo in tal senso, la parola ‘Biodinamico’ non è né un derivato né un’abbreviazione, dunque un produttore non è tenuto a certificarsi”. Se avesse ragione lui, il consumatore si troverebbe di fronte a un vino o a un frutto venduto come biodinamico senza garanzie, dovrebbe fidarsi solo della parola del produttore. In questo senso, la legge sul bio in discussione in Parlamento farebbe comunque chiarezza. Perché nel testo sono equiparati al biologico “il metodo dell’agricoltura biodinamica e i metodi che, avendone fatta richiesta secondo le procedure fissate dal ministro delle Politiche agricole (…) prevedono il rispetto delle disposizioni” relative al bio.
Le proteste sui fondi
Ma anche risolto questo problema, i contrari all’equiparazione, come Elena Cattaneo, protestano per il rischio che fondi pubblici vengano dati al biodinamico. Giuseppe Romano commenta: “Il 2% della vendita dei fitofarmaci deve andare in ricerca e sperimentazione per l’agricoltura bio. Ma nessuna azienda prende soldi pubblici in quanto biodinamica”. E non risparmia una stoccata alla senatrice: “L’agricoltura su basi scientifiche della ‘grande rivoluzione verde’ che tanto stanno decantando è quella che ci ha portato alla situazione disastrosa in cui siamo, con le eutrofizzazioni delle acque, l’inquinamento, la presenza eccessiva di nitrati, la biodiversità in crisi. Stiamo parlando di due scienze diverse noi e la Cattaneo”. Secondo il presidente Aiab, dietro l’attacco al biodinamico si cela la vera posta in gioco: “Dietro questa partita ci sono due questioni. Una si chiama soldi della Politica agricola comune. E qui il concorrente non è il biodinamico che conta poco, ma il biologico, che è il sistema di produzione alternativo al convenzionale. Siccome gli attacchi al bio non funzionano perché è ormai un sistema garantito, riconosciuto, istituzionalizzato, la Cattaneo ha iniziato a puntare il biodinamico”.
Le oltre battaglie aperte
L’altra questione, secondo Romano, è invece quella che riguarda le nuove tecniche di manipolazione genetica, i cosiddetti nuovi Ogm: “Vogliono sdoganarli per due motivi. Gli ovvi interessi di chi li produce e perché le associazioni professionali agricole terrorizzate dalla riduzione dei fitofarmaci previsti dalla strategia Ue, dicono che non riescono a produrre se non fanno questa evoluzione tecnologica delle proprie sementi. Ma i problemi fitosanitari non si combattono rendendo più resistente la pianta ma l’agroecosistema che sta intorno”.
Cosa dice la scienza
La contrapposizione scienza contro superstizione, quando si parla di agricoltura biodinamica, è una semplificazione che non risponde al vero. Seppur ancora pochi, esistono studi scientifici e non mancano gli scienziati che la vedono diversamente dalla Cattaneo. Tra questi c’è Paolo Barberi, professore di Agronomia presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che negli ultimi 15 anni ha condotto oltre 20 progetti di ricerca europei e nazionali su agroecologia e agricoltura biologica. “L’agricoltura biodinamica e l’agricoltura bio hanno in comune la filosofia generale di produzione basata su un’esaltazione delle interazioni ecologiche tra suolo, piante e animali, in modo tale da creare un’azienda diversificata che ha meno bisogno di input esterni. L’agricoltura biodinamica è ancora più restrittiva, esalta ancora di più il ruolo dell’azienda come organismo”.
Sulle influenze astrali di cui parlano i biodinamici, Barberi ragiona: “Sono aspetti difficili da comprovare utilizzando il metodo scientifico classico-riduzionista, che è quello che prevede che i fattori devono essere controllati e se non riesco a dire con certezza che quello che osservo è dovuto a un determinato tipo di fattore, l’effetto non può essere comprovato. Ma, al di là di credere o meno alle influenze astrali, qui c’è un grossissimo equivoco di fondo – continua Barberi – noi che ci occupiamo di ricerca in agricoltura, dobbiamo ricordarci che abbiamo a che fare con un sistema vivente, con una sua complessa dinamica spaziale e temporale, quindi anche l’approccio riduzionista ha i suoi limiti, perché si dimentica di una serie di interazioni che sono alla base dell’agricoltura sia convenzionale che biologica e biodinamica che esistono, ma non sempre sono facili da estrinsecare”.
Separare l’indimostrabile dal resto
Francesco Riva, esperto di agricoltura biologica e membro dell’Egtop, gruppo di esperti europei che assiste la Commissione per la legislazione sul biologico spiega al Salvagente: “L’agricoltura biodinamica applica dei principi agronomi estremamente rispondenti agli insegnamenti dell’agronomia sostenibile. Hanno un’attenzione maniacale alla gestione della fertilità del suolo, attraverso la sostanza organica, adottando gli avvicendamenti colturali in una maniera molto rigorosa. Non posso dire che molto bene di tutte le realtà che ho conosciuto, dal punto di vista delle scienze agronomiche. Dopodiché hanno delle convinzioni tra la filosofia e la teologia, e sulla base di quelle convinzioni usano i preparati, spesso in dosi omeopatiche, prodotti sulla base di pensieri esoterici, con benefici indimostrabili”.
“È possibile che non abbiano effetto” aggiunge Paolo Barberi, il quale sottolinea che “le ricerche pubblicate che abbiamo a disposizione finora, sono poche. Un po’ perché il biodinamico è una parte minoritaria dell’agricoltura e sicuramente in parte anche perché c’è una sorta di pregiudizio da parte della comunità scientifica, per cui un ricercatore ci pensa due volte prima di cominciare una ricerca su questo tema”. Tra queste poche ricerche ce n’è una del 2002 pubblicata da Science, (P. Maeder e altri, Soil fertility and biodiversity in organic farming), basata su uno studio di 21 anni sulle prestazioni agronomiche ed ecologiche dei sistemi di agricoltura biodinamica, biologica e convenzionale nell’Europa centrale. Le rese delle colture sono inferiori del 20% nei sistemi biologici (incluso il biodinamico) sebbene l’apporto di fertilizzanti ed energia sia stato ridotto dal 34 al 53% e l’apporto di pesticidi del 97%.
Risultati analoghi a quelli dello studio svizzero Fibl-Dok, pubblicato nel 2019 su Nature, secondo cui le aree coltivate biologicamente hanno circa il 40% in meno di emissioni di protossido di azoto per ettaro rispetto alle aree di coltivazione convenzionale. Studi che spingono Paolo Barberi a una risposta ai sostenitori dell’agricoltura convenzionale e transgenica per ragioni di efficienza: “I dati Fao ci dicono che negli ultimi 20 anni la produzione agricola è aumentata del 50%, ma il problema è che questo è andato a scapito di risorse ambientali e si è accompagnato a un uso crescente di input, dunque è una crescita non sostenibile. E inoltre nei paesi occidentali stiamo buttando via più di un terzo del cibo che produciamo. Allora che senso ha dire che bisogno aumentare la produzione? Bisogna piuttosto cambiare il modo in cui si produce e ridurre gli sprechi”.