Il nostro test su 20 banane: chi scivola sui pesticidi

BANANE

Le banane sono i frutti più commercializzati e il quinto prodotto agricolo più venduto al mondo: apprezzate da grandi e piccini sono oggetto del nostro test di copertina di febbraio. Abbiamo portato in laboratorio 20 campioni di agricoltura convenzionale e biologica.

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Sono coltivate in 150 paesi del mondo e ogni anno ne vengono prodotte 105 milioni di tonnellate. In Italia se ne importano 600mila tonnellate, con un consumo pro capite di 10,5 kg, circa 60 frutti per persona. Un successo legato indubbiamente al gusto ma anche alle virtù nutrizionali: le banane sono un concentrato di potassio, vitamine e sali minerali a basso costo. Talvolta così basso che è pressocché impossibile assicurare una buona remunerazione ai piccoli agricoltori che dall’altra parte del mondo (India, Ecuador e Brasile) faticano per 9 lunghi mesi per coltivare un frutto che arriverà sugli scaffali dei supermercati anche a 79 centesimi al chilo.

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Fruta quimica

Ma oltre a una questione etica – su cui cercano di intervenire i progetti Fairtrade e Altromercato – sulle banane pesa anche il sospetto di essere un frutto altamente chimico. L’industria delle banane consuma più prodotti chimici per l’agricoltura di qualsiasi altra al mondo seconda solo al cotone. 

Tradizionalmente definita “fruta quimica” proprio per l’uso massiccio di queste sostanze, alcune classificate come molto pericolose dall’Organizzazione mondiale della sanità, la sua produzione inquina le risorse idriche, contamina i suoli dove crescono le banane e può avere effetti devastanti sui lavoratori.

Chi ha memoria ricorderà le campagne internazionali di boicottaggio nei confronti di grandi marchi accusati di spargere pesticidi dagli aerei mentre i raccoglitori, privi di qualunque protezione lavoravano. Di certo non lo hanno dimenticato i sopravvissuti che non hanno pagato con la vita questi avvelenamenti e le loro famiglie che da decenni tentano di ottenere giustizia, senza riuscirci.

Il nostro test

Storie passate, direte voi. Non proprio, almeno sul fronte della generosità nello spargimento di chimica in campo secondo i risultati del nostro test di laboratorio su 20 campioni di banana acquistati presso la grande distribuzione organizzata e i discount che trovate in edicola da oggi e sul nostro negozio on line. Con l’eccezione di tre prodotti – e si tratta in tutti e tre i casi di referenze biologiche – in tutti gli altri casi, le analisi – condotte sulla parte edibile del frutto, ossia solo sulla polpa – hanno rilevato una contaminazione da pesticidi in quantità certamente al di sotto dei limiti di legge (quando previsti). Ma quel che lascia più perplessi è la presenza di molte molecole, fino a 6 sullo stesso frutto. Non è certo una bella notizia soprattutto se pensiamo che la banana è uno tra i frutti preferiti anche dai bambini.

Non si salva neanche il biologico

In secondo luogo, ci ha sorpreso anche la contaminazione di alcune referenze biologiche, una novità assoluta per i test del Salvagente. Ma la nota positiva è stato l’impegno che si sono assunti i due marchi, Esselunga e Carrefour: entrambi si sono detti sorpresi e se il primo ha bloccato le importazioni di altri alimenti provenienti dallo stesso produttore, il marchio francese della Gdo ha subito avviato un attento esame della procedura di controllo. 

Origine delle banane

Le piantagioni di banano sono presenti in almeno 107 paesi, quasi tutti localizzati nella fascia tropicale. L’India è il maggiore produttore mondiale, ma quasi la totalità dei frutti è destinata al consumo interno, anche a causa di una gestione arretrata della filiera. L’Ecuador è il maggiore esportatore: più di 380 milioni di casse di banane (oltre 3,6 miliardi di dollari) esportate nel corso del 2020, che costituisce un nuovo record nella spedizione della frutta a diversi mercati internazionali, nonostante il complesso scenario mondiale dovuto alla diffusione del Covid-19. Le banane del nostro campione arrivano anche da Costa Rica, Colombia, Perù e Repubblica Dominicana.

Pesticidi

Con l’eccezione di 4 marchi, tutte le banane del nostro campione hanno evidenziato la presenza di pesticidi, anche sei molecole contemporaneamente. Purtroppo non fanno eccezione alcune banane biologiche. In due casi, Carrefour ed Esselunga, le analisi hanno rilevato sostanze non ammesse nelle coltivazioni biologiche. Il nostro giudizio finale tiene conto sia del numero di molecole che della presunta pericolosità. Sul numero, sono note le resistenze dell’Efsa a valutare il cosiddetto effetto cocktail, nonostante una sentenza della Corte di Giustizia europea e un recente report pubblicato da 119 eurodeputati. Nel documento, oltre a mettere in luce le falle del sistema di autorizzazione, i membri del Parlamento europeo sollecitano l’Autorità per la sicurezza alimentare di Parma a predisporre una procedura per tener conto degli effetti tra le diverse formulazioni di pesticidi, più classicamente noti come “effetti cocktail” sin dalla fase di valutazione delle sostanze attive dichiarate. Per quanto riguarda la sicurezza, abbiamo penalizzato innanzitutto i campioni contaminati (seppur sotto ai limiti di legge) dai neonicotinoidi (imidacloprid, thiamethoxam e chlorfenapyr), una classe di insetticidi tossici per le api che l’Europa sta cercando di mettere al bando nonostante le continue deroghe chieste dagli Stati membri, in primis la Francia. Per le altre molecole non è stato possibile fare differenze in quanto i profili di sicurezza sono tutti simili: si tratta, infatti, di sostanze certamente autorizzate in Europa su cui, però, pesano sospetti su presunti danni al fegato o agli embrioni. L’unica segnalazione che vale la pena fare riguarda l’acido gibberellico che è stato regolamentato fino al 2014 quando è entrato in vigore il Regolamento Ue 588 che ne ha eliminato i limiti di legge nonostante l’Epa, l’Autorità per la protezione della salute umana e dell’ambiente statunitense, l’abbia classificato come un pesticida leggermente tossico.