Foglie di carciofo, acqua della pasta, liquido dei legumi in barattolo… La seconda vita degli “scarti”

SCARTI

Lo scrittore statunitense Robert Jordan con la sua saga della “La Ruota del Tempo” può rappresentare quanto sta accadendo dal punto di vista planetario in questi anni. Se limitiamo il tutto agli alimenti, ai piatti etc. ecco che spieghiamo molto facilmente il ritorno alle tradizioni, la ricerca del significato storico-antropologico delle pietanze e l’interesse verso cosa mangiamo. Ancora più evidente è la rinnovata ricerca, anche da parte degli chef, di utilizzare i cosiddetti scarti o le parti meno pregiate di un ingrediente. Questo approccio si sposa benissimo con la riduzione dell’impatto ambientale sul pianeta delle industrie agro-alimentari, la riduzione degli scarti alimentari nonché col recupero di nutrienti, vitamine o micronutrienti. Non avendo ancora a portata di mano una Terra 2.0 che possa ospitarci nel futuro, cerchiamo di sostenere una versione della Terra 1.0.1 in attesa di upgradare il nostro stile di vita verso qualcosa di sostenibile per il pianeta e per le future generazioni. È questo il tema della puntata settimanale di Miti Alimentari.

Utilizzo spesso i legumi in scatola e l’acqua dei barattoli la butto via, tanto è inutile

FALSO I legumi sono una fonte importante di molte sostanze fra cui le preziose proteine, considerate quasi pari a quelle di origine animale, ragion per cui sono ingredienti importanti e utili per chi si affranca da una dieta carnea. Parlare di Dieta Mediterranea talvolta si limita a glorificare olio extravergine di oliva, pomodori, frutta etc. ma ci si dimentica delle zuppe di legumi che hanno avuto da sempre un ruolo importantissimo sulle tavole dei meno ricchi che non potevano accedere a proteine animali. La tecnologia oggi consente di avere fagioli, ceci, piselli etc. anche rapidamente disponibili per la loro cottura senza dovere attendere il cosiddetto “ammollo” che è richiesto per i legumi secchi da reidratare per essere usati in cucina. Disidratare è un metodo diffuso e comune per molti cibi per allungarne la loro conservabilità nel tempo (Crit Rev Food Sci Nutr doi 10.1080/10408398.2017.1323722). Pensiamo alla carne secca, alla frutta secca, ai legumi dove la presenza di troppa acqua provoca  ammuffimento, o  crescita di microorganismi pericolosi per la nostra salute. Cuocere i legumi e lasciarli nella loro acqua è un metodo che permette di usarli rapidamente per zuppe e minestroni senza ulteriori ritardi per prepararli e questo ne ha facilitato il loro uso per la carestia di tempo che ci attanaglia. L’acqua di “governo” dei legumi, però, è un vero tesoro da non buttare negli scarichi della cucina. Stare in ammollo in acqua per i fagioli comporta che vi è un continuo scambio tra la parte solida e il liquido in cui sono immersi. Significa che parte delle proteine vengono solubilizzate in questo liquido che è paragonabile per alcuni chef a un albume vegetale utile che se privo di bucce di ceci o residui del lavaggio può essere addirittura quasi montato. In verità questo sono dei liquidi che aiutano ad addensare un brodo altrimenti troppo leggero sensorialmente o a sostituire anche l’albume d’uovo per scopi dolciari e in questo caso parliamo della nota “aquafaba” da ceci, fagioli, evitando ingredienti non vegani. Come tutti i liquidi può essere facilmente porzionato alla bisogna e congelato, poi conservato e riutilizzato nelle quantità e nel momento in cui ci occorre per un bel brodo vegetale.

Nel passato vedevo l’acqua di cottura della pasta che veniva spesso conservata e poi riutilizzata, credo fosse una gran idea

VERO Questo è forse il caso più lampante di riutilizzo, di riduzione degli sprechi e di vantaggi ricavabili ed è un modo intelligente di aiutare il nostro ambiente. A dire la verità, oggi la cottura della pasta produce un’acqua di cottura quasi trasparente e questo perché sono migliorate sia le semole che le rese di produzione della pasta secca. In altre parole, l’effetto di cessione dell’amido da parte della pasta è meno evidente, la cosiddetta rete proteica è molto efficiente e non fa sfuggire dalle maglie che ben poca roba. Provate a osservare la pasta fresca fatta con farina e rivedrete dell’acqua a fine cottura più lattescente perché parliamo di grano tenero e non duro e quindi con maglie meno fitte. Una volta le cose erano differenti, l’amido rilasciato era più abbondante e le nonne addirittura usavano quest’acqua, per giunta calda, per lavare le stoviglie alla fine dei pasti di solito frugali e veloci. L’acqua di cottura però trova oltre una dozzina di riutilizzi che sfruttano la presenza di amido rilasciato per cui ci aiutano a fare della pasta risottata ovvero mantecata, oppure a preparare zuppe o a cuocere pani e prodotti da forno più morbidi. Quest’acqua si può utilizzare anche per cuocere a vapore le verdure sfruttando il suo calore residuo e risparmiando il costoso metano, oppure per preparare dei brodi vegetali o di carne. Addirittura, se vogliamo preparare della carne bollita che conservi i suoi sapori possiamo risparmiare tempo e energia nel portare ad ebollizione l’acqua di post-cottura della pasta oppure se viene usata fredda avremo della carne lessata e un brodo più sostanzioso. In ogni caso il riuso dell’acqua che rappresenta un tesoro da non sprecare, il risparmio di energia, l’aiuto degli amidi per avere vantaggi sensoriali e altri motivi rendono questo riutilizzo antico quanto di più attuale ci sia.

Amo mangiare i piselli freschi, ma dei baccelli non so che farmene, meglio buttarli nell’umido

FALSO “C’era una volta… Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno”. Collodi forse non aveva previsto di essere un vero e proprio riciclatore ante litteram; già usare un ceppo di legno di scarto per fare un burattino anziché bruciarlo nel camino è da sempre un qualcosa di bello e di basso impatto sull’ambiente. Chi ricorda bene la favola, sa che Pinocchio delle pere mangiò alla fine tutto, comprese bucce e torsoli ed ecco ancora il riuso di uno scarto, per finire con il capodoglio che ospita Geppetto puro esempio di riutilizzo dei relitti mangiati dalla “balena”. Le nostre amate nonne non buttavano quasi nulla, altro che cucina cinese dove ci sono pochissimi scarti e dove wok e coltello cinese sono principi nell’uso dell’intero vegetale! Quando sulla tavola c’erano piatti in numero dispari e bicchieri in numero pari doveva essere la mente a creare ciò che mancava, oggi è la tendenza o la voglia di tornare alle tradizioni a richiederlo, ma l’importante è l’obiettivo. Le bucce di piselli sono considerate edibili e rappresentano quasi il 70% di quello che compriamo e paghiamo spesso anche non poco, per cui con il loro riutilizzo aiutiamo a ridurre sprechi e rifiuti oltre a salvaguardare in parte le nostre tasche. A patto, naturalmente, che si tratti di prodotti sicuri, senza contaminazioni e privi di pericoli, le bucce come in passato possono diventare anche ingredienti per creme, minestroni, zuppe, perché la natura non distingue il packaging dal contenuto per cui piselli e baccelli sono molto simili. Puliti i piselli ricaviamo in peso tantissimo materiale, in discarica diventerebbe poco utile, in cucina può dare molte soddisfazioni. Questo dei piselli è forse il caso più evidente, ricordandoci che le bucce sono ipocaloriche con 42 kcal per etto, ricche di vitamine A, C e K, forniscono 2 mg di ferro per etto e fino a 3 grammi di fibre utili per l’intestino (Antioxidants doi.org/10.3390/antiox11010105). Infine, per chi le ricorda, la natura offre anche le taccole ovvero dei piselli il cui baccello, molte più tenero di quello che conosciamo, è inseparabile dai legumi e viene consumato con gli stessi piselli facendoci risparmiare tempo in cucina e gustando anche il baccello.

Amo i carciofi e consumo quasi tutto dello stesso credo sia la cosa migliore

VERO I carciofi, sono botanicamente parenti attesi di cardo e topinambur, ma se ci fosse una riunione familiare non dovremmo stupirci di vedere arrivare ad esempio anche girasole, piretro, lattuga, camomilla, arnica e calendula appartenenti tutti alla famiglia delle Asteraceae. Il carciofo è molto italiano ed un classico caso di immigrato in America perché introdotto da spagnoli e francesi durante la loro fase di colonizzazione. La leggenda vuole che sia brutto e spinoso fuori e gentile all’interno in onore della ninfa Cynara che non si concesse al solito e prepotente Zeus il quale irritato la trasformò per ripicca in un carciofo. Del carciofo viene sprecato talmente tanto che si vedono grandi cumuli di scarti presso gli ortolani, ma anche a casa si tende a eliminare un grande numero di foglie esterne e quasi tutto il gambo per poterli magari appoggiare nel tegame con più facilità e cuocerli meglio. Eppure nelle foglie esterne c’è una parte tenera che va separata dalla fibra che è poco gradevole e utile. A Napoli si usa mangiare i carciofi arrostiti e le foglie esterne vengono tirate fra i denti per poi imitare il gesto tipico di chi gioca a carte ovvero lasciandole cadere nel piatto. Gli stessi gambi vanno sacrificati per una parte, quella più tenera si può usare sia come farcia dei carciofi bolliti che in padella quasi come fossero dei funghi. In questa porzione del carciofo sono presenti composti salutistici come i polifenoli e la tanto ricercata inulina ovvero una fibra che ci aiuta moltissimo a livello intestinale (Food Chemistry doi:10.1016/j.foodchem.2017.04.175). La natura ha previsto di accumulare queste sostanze utili laddove servono e la difesa del carciofo richiede i suoi migliori elementi anche nelle foglie periferiche e nel gambo.

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