Sicuri che sia sempre pane per i vostri denti?

PANE

Non c’è popolo che non abbia il pane nel repertorio dei cibi da mettere in tavola. Un alimento apparentemente semplice nella sua costituzione, che è pero declinato in mille modi, in base alla ricetta di produzione, alle farine usate, alla forma. Pagnotte, panini, pancarrè, piadina, frisella e tante altre varianti.
Gli ingredienti sono pochi: farina, acqua, lievito e – se desiderato – il sale. Questi sono gli ingredienti ammessi dalla legge n.580 del 1967 per poter riportare in etichetta e in denominazione il termine “pane”.
Nessun additivo o conservante può essere utilizzato nella produzione del “pane”, ma sicuramente qualcuno starà leggendo sull’etichetta del pane o dei panini la parola “miglioratore” e starà pensando di avere tra le mani un prodotto fuori norma.
Il “miglioratore”, chimicamente, è un enzima (nello specifico un’amilasi) che favorisce la lievitazione, ma, una volta fatto il suo lavoro, resta inattivo e per questo motivo non costituisce un ingrediente, ma un coadiuvante tecnologico che nel caso del “pane” è consentito.

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In etichetta potrebbe anche essere omesso, ma molte aziende trasparenti lo scrivono. Sarebbe cosa buona e giusta, se la legge imponesse di riportare il miglioratore in etichetta e anche la sua natura chimica, visto che in fin dei conti è una sostanza che interagisce intimamente con la materia prima che poi noi consumatori mangiamo.
Altri invece potrebbero aver acquistato del “pane” nero, magari anche decantato come salutare dal commesso o dal panettiere che glielo ha venduto. Questo prodotto è stato trattato con un colorante, il carbone vegetale (E153), e non può essere per legge definito “pane”.
Ci sono alcune deroghe sull’utilizzo di altri ingredienti, purché vengano rispettate le percentuali massime. Si possono usare grassi, come l’olio, il burro e lo strutto per un massimo del 3% della sostanza secca. Nel caso di zuccheri aggiunti invece il limite è al 2% sulla sostanza secca (4% se provenienti da malto).
Tutte queste concessioni di legge, rendono la normativa troppo elastica, tant’è che la possibilità di usare questi ingredienti nella percentuale massima indicata, ci fa trovare in etichetta sostanze come il destrosio che ricade negli zuccheri e soprattutto emulsionanti come i mono e digliceridi degli acidi grassi che rientrano nella categoria dei grassi.
Questi ingredienti/additivi li troviamo con certezza nelle famose e comode baguette della Grande distribuzione. Si tratta di un prodotto precotto parzialmente o cotto completamente dal supermercato a partire da un semilavorato surgelato. Per questo motivo non può essere venduto come pane fresco; purtroppo i supermercati utilizzano spesso la dicitura “appena sfornato”, legale, ma sicuramente fuorviante.
In questi prodotti, come anche nel caso del pane in cassetta, è concesso anche un conservante, l’alcol etilico (antimicrobico e antifungino), purché la concentrazione non superi il 2%.
Nessun pericolo per la salute, neanche per i bambini, visto che evapora dopo l’apertura e soprattutto dopo la tostatura; la lista degli ingredienti però si allunga ulteriormente.
L’aspetto maggiore che contraddistingue i diversi tipi di pane qualitativamente e merceologicamente è il tipo di farina di origine. A prescindere dai diversi tipi di pane derivanti da differenti specie di cereali (frumento, segale, farro, grano saraceno…), l’aspetto più ricorrente nella scelta del consumatore è la raffinazione della farina che determina la presenza in commercio di prodotti integrali e non.
Lavorare una farina integrale per produrre pane non è un’impresa semplice che richiede grandi competenze nel panettiere. Questo perché in assenza di raffinazione la percentuale sul peso delle proteine da cui si origina il glutine è minore. Meno glutine significa che la maglia che trattiene i gas di lievitazione è più sottile e meno fitta e questo inficia la crescita degli impasti.
Si ricorre perciò molto spesso al taglio con farina raffinata, più vocata alla lievitazione e per ingannare il consumatore che si aspetta di trovare una pagnotta più scura nell’interno, si aggiunge crusca rimacinata.
Un pane “falso integrale” che non riporta in etichetta la presenza di farine raffinate si riconosce facilmente al taglio: nella matrice biancastra della mollica si diffonde la puntinatura marrone scura della crusca.
Questo prodotto “falso integrale” è nutrizionalmente peggiore, perché, per quanto contenga più fibra, ha comunque un indice glicemico più alto dovuto al fatto che gli zuccheri sono più liberi.
La lievitazione naturale è un altro aspetto che negli ultimi anni desta l’interesse dei consumatori perché ritenuta più sana. In effetti questa affermazione è vera, perché il prodotto finale è più digeribile per la maggiore degradazione dell’amido e del glutine. È anche più nutriente in termini di microelementi perché viene degradata una maggiore quantità di acido fitico che impedisce l’assorbimento di potassio, fosforo, magnesio e zinco. Infine la flora batterica del lievito naturale ha una buona azione probiotica. Un pane a lievitazione naturale si riconosce al sapore da una nota acida e dalla maggiore freschezza che mantiene nel tempo.