Sulla polemica a distanza tra sostenitori e contrari all’inserimento dei riferimenti all’agricoltura biodinamica nel testo della nuova legge sul biologico, si è inserita Assobio, l’associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici e naturali, con un’appello ad approvare in fretta la legge. Il Salvagente, che all’argomento dedica un ampio servizio nel numero di luglio, ha intervistato Roberto Zanoni, presidente di Assobio, sull’argomento al centro di forti polemiche.
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Zanoni, avete fatto un appello ad approvare in fretta la legge sul bio. Perché, temete che finisca insabbiata nelle polemiche?
Si tratta di un passo decisivo per la transizione ecologica dell’agricoltura italiana. Le nuove politiche europee per il Green Deal con la strategia Farm to Fork e il Piano d’azione Europeo per il biologico mirano a una crescita consistente del settore per poter cogliere i benefici ambientali e sociali. Solo i Paesi europei che sapranno attrezzarsi per cogliere anche questa opportunità potranno utilizzare risorse economiche per il sostegno all’agricoltura, la promozione dei prodotti alimentari e la ricerca che l’Unione europea ha espressamente vincolato all’agricoltura biologica e biodinamica, con il Piano d’Azione Europeo per il biologico approvato recentemente. Le potenzialità di sviluppo e crescita del settore in Italia sono ancora enormi: dobbiamo muoverci subito.
Contro l’inserimento della parola biodinamico nel testo hanno scritto diversi scienziati, tra cui la commissione ricerca dell’Accademia dei Lincei. Cosa rispondete alle loro critiche?
Rispondiamo che in realtà la biodinamica fa parte dei Regolamenti europei del bio fin da luglio 1991 e nel disegno di legge è stata inserita proprio in quanto già oggi certificata biologica. Gli stessi preparati biodinamici sono in realtà mezzi tecnici iscritti nell’elenco dei prodotti ammessi per il biologico dai Regolamenti UE e regolarmente autorizzati al commercio dai decreti ministeriali in vigore nel nostro Paese, su cui tra l’altro è in corso un’attività di ricerca scientifica e molte pubblicazioni nel merito.
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I detrattori parlano dei cornoletami come prova di stregoneria.
I prodotti biologici e biodinamici sono ottenuti sulla base di normative trasparenti e sottoposti a controlli e certificazione da parte di organismi accreditati, autorizzati e vigilati da Autorità pubbliche nazionali. Le imprese biologiche hanno responsabilità e costi ancora maggiori rispetto alle aziende convenzionali in quanto sostengono costi di certificazione per garantire l’integrità dei loro prodotti. Tale onere si riverbera su produttori, trasformatori e distributori, fino al prezzo finale. Riteniamo che riconoscere a questi operatori un credito di imposta, oltre a favorire la conversione delle superfici, aiuterebbe anche i consumi: la strategia ‘Farm to fork’ prevede infatti che tutti gli europei possano contare su alimenti sani, economicamente accessibili e sostenibili. Per contro, le aziende convenzionali fanno ricorso ad un uso massivo di sostanze chimiche con conseguenze anche gravi sull’ambiente e sulle persone: pensiamo alle emissioni di gas a effetto serra, erosione del suolo, inquinamento delle falde acquifere.
Ma anche l’efficienza produttiva da un certo punto di vista è un obbiettivo giusto o no?
Sentiamo pronunciare affermazioni di questo genere: “Occorre produrre di più perché nel 2050 saremo 10 miliardi di persone e il biologico non soddisfa tutte le esigenze”, a nostro avviso non ha senso parlare in questi termini. Se metà del mondo soffre per carestie, malnutrizioni e scarsezza di cibo, l’altra metà si trova a fronteggiare problemi legati a un eccesso di cibo (spesso non sano), come obesità e diabete. La risposta non è produrre di più, ma rivedere i nostri i modelli di consumo, produrre meglio e nelle aree in cui serve. Stiamo parlando di corretta redistribuzione del cibo, evitando inutili e dannosi sprechi.
Invitiamo tutti gli scienziati a venire a visitare le aziende biologiche e biodinamiche e siamo a disposizione per spiegare loro tutti i quesiti e i dubbi che dovessero avere. Un conto è parlare in laboratorio, un conto è lavorare nei campi.
Se il biodinamico è a tutti gli effetti già considerato bio dalle istituzioni europee e rientra già nella normativa italiana di sostegno al bio, perché è così importante inserirlo esplicitamente nel testo della legge, scatenando l’alzata di scudi di molti?
Lo scopo della legge, come sostenuto anche dalle stesse strutture del Ministero deputate al controllo, è quello di consentire che la pratica agronomica dell’agricoltura biodinamica faccia riferimento, oltre che al Regolamento Europeo sul biologico, anche alla specifica legge nazionale di settore e non ai soli disciplinari privati, che tuttavia già oggi sono molteplici e anche molto diversi fra loro. La legge affronta e regolamenta un settore nell’interesse e a tutela delle imprese e dei lavoratori che lo vivono. Si parla infatti di strumenti di integrazione degli operatori della filiera biologica, di sostegno della ricerca nel settore, dell’integrazione con le altre attività economiche presenti nell’area di un distretto biologico e di aree paesaggisticamente rilevanti, comprese le aree naturali protette nazionali e regionali. L’articolo 14 tratta il riconoscimento delle organizzazioni interprofessionali per migliorare la conoscenza e la trasparenza della produzione e del mercato, promuove analisi e studi sui costi di produzione, sui prezzi, sui volumi e sulla durata dei contratti, sui possibili sviluppi futuri del mercato a livello regionale, nazionale o internazionale.
All’agricoltura bio serve il biodinamico?
All’agricoltura biologica serve una legge che valorizzi e orienti il settore cresciuto fortemente negli ultimi anni. Una normativa che spinga la ricerca, la formazione e il sistema dei controlli. Ridurre tutto questo lavoro ad una mera diatriba sul quesito se è vero o meno che la fertilità del suolo venga migliorata tramite pratiche e preparati che la scienza osserva con diffidenza, è a mio avviso inutile e dannoso. L’Italia ha accumulato un grave ritardo proprio sul versante della ricerca, dello sviluppo di un consumo consapevole e di una cultura del cibo e dell’ambiente che sostenga le imprese bio. Non perdiamo altro tempo in dibattiti sterili. E’ in gioco il futuro stesso dell’agricoltura italiana e della transizione ecologica.
Pensate che il biodinamico sia il pretesto per attaccare il biologico in una fase cruciale di scontro di paradigma tra agricoltura convenzionale e agricoltura biologica in Europa?
Temo che chi si opponga aspramente all’agricoltura biodinamica, celi anche una sfiducia di fondo verso l’agricoltura biologica.
Se ci trovassimo davvero di fronte a un accanimento ideologico contro il bio, avremmo la dimostrazione che i principali detrattori non hanno a cuore le oltre 80.000 aziende che vi operano e confermerebbero di non aver minimamente compreso l’importanza della proposta della Commissione Europea e del valore di un comparto che rappresenta uno dei fiori all’occhiello del settore agricolo italiano. Con il 15,8% dei terreni coltivati biologicamente, l’Italia è una delle prime nazioni per produzione, e addirittura, seconda al mondo per esportazioni.
E poi ci sono anche le conseguenze per l’ambiente di questo attacco al bio.
Non sarebbe un attacco solo al biologico, ma ai tanti agricoltori, spesso giovani, e alle numerose aziende della filiera che hanno creduto nella scommessa di conciliare il legittimo interesse d’impresa, il bene pubblico della difesa del suolo, il benessere di chi sceglie di portare sulla sua tavola alimenti prodotti senza far uso di prodotti della chimica di sintesi.
Rischi sulla salute da contaminazione acuta, effetti dell’esposizione cronica, presenza nei cibi e nell’ambiente: sugli effetti dei pesticidi esistono ormai migliaia di studi scientifici. L’uso intensivo della chimica di sintesi ha prodotti danni profondi. A ciò si aggiunge un altro danno economico importante: l’emorragia di Pmi. In Italia, infatti, abbiamo purtroppo assistito alla riduzione di 1 milione e mezzo di piccole imprese agricole.
Con l’approvazione della legge sul bio gli studenti universitari italiani dovranno seguire corsi in cui si presentano come efficienti metodi senza basi scientifiche?
Assolutamente no, è proprio l’agricoltura biologica e biodinamica che registra un grado d’istruzione, una competenza digitale e una vocazione al mercato più avanzati, basati su solide basi scientifiche. Il bio non è il “ritorno idilliaco al passato di una realtà che non è mai esistita”, come abbiamo letto recentemente. Al contrario, è proprio qui che l’Italia vanta una lunga tradizione anche accademica pioniera dell’agro-ecologia. Le aziende biologiche sono le più attente all’innovazione e ai cambiamenti. La rinuncia alla chimica di sintesi, infatti, impone agli agricoltori bio di individuare soluzioni innovative in molti casi basate sull’integrazione tra mezzi diversi: meccanici, ecologici, digitali: insomma, sull’agro-ecologia. Ecco perché ritengo che questa legge possa essere una grande occasione per ricercatori e studenti, e consentirebbe di gettare le basi per investimenti in Ricerca e Innovazione da cui un’intera economia può trarre giovamento.
In generale, quali sono i punti di forza della legge sul bio e cosa invece manca o andava scritto diversamente?
La legge può essere uno strumento utile per rafforzare il settore. Penso, ad esempio, alla ufficializzazione dei biodistretti che sono di grande interesse per lo sviluppo delle aree rurali. Grazie a questo disegno di legge sarà possibile migliorare il coordinamento delle modalità di immissione dei prodotti sul mercato, attraverso ricerche e studi di mercato, sarà possibile esplorare potenziali mercati d’esportazione, prevedendo il potenziale di produzione e diffondendo rilevazioni dei prezzi pubblici di mercato, rafforzare la competitività economica e l’innovazione; verrà garantita la tracciabilità delle produzioni e la tutela degli operatori e dei consumatori finali. Molto importante anche l’introduzione del marchio ‘biologico italiano’ che può dare più forza ai produttori agricoli. Altro punto chiave riguarda la comunicazione verso i consumatori. Ciò che ritengo possa essere migliorato è l’investimento dello stato nella comunicazione e lo stesso devono fare anche le aziende biologiche. Si poteva forse dedicare più attenzione alla promozione del consumo attraverso programmi di educazione alimentare. E’ importante che i cittadini, i consumatori, siano informati sul valore del biologico. E qui rientra il tema del prezzo del cibo.