I Pfas finiscono anche nei fertilizzanti per uso domestico, andando a contaminare i giardini e i piccoli orti privati. A dirlo è un nuovo rapporto che ha rivelato come i fanghi di depurazione che i distretti di trattamento delle acque reflue in tutta l’America confezionano e vendono come fertilizzanti domestici contengono livelli allarmanti di composti fluorati tossici. Un incrocio che aumenta se possibile il livello di allarme già alto rispetto ai Pfas e ai fanghi di depurazione, che anche in Italia possono essere usati per i fertilizzanti.
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Cosa dice lo studio
Gillian Miller, co-autore dello studio e scienziato senior presso l’Ecology Center con sede nel Michigan, dichiara al Guardian: “La diffusione di biosolidi o fanghi di depurazione dove coltiviamo cibo significa che alcuni Pfas entreranno nel terreno, alcuni saranno assorbiti dalle piante e se le piante vengono mangiate, allora questa è una via diretta nel corpo”. Il nuovo studio non è stato sottoposto a revisione paritaria, ma i ricercatori indipendenti che lo hanno verificato per il Guardian hanno affermato che la sua metodologia è valida. Gli autori dello studio hanno controllato 33 singoli composti Pfas e hanno trovato che ogni prodotto biosolido ne conteneva tra 14 e 20.
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Il ruolo dei fanghi da depurazione
I test, condotti con Sierra Club, hanno trovato le sostanze chimiche in ciascuna delle nove marche di fertilizzanti che ha controllato e a livelli che superano gli standard stabiliti per due tipi comuni di Pfas. Secondo il Guardian, negli Usa nel 2019, circa il 60% dei fanghi di depurazione prodotti dagli impianti di trattamento è stato distribuito su terreni agricoli e giardini, oltre a cortili scolastici e prati. L’ufficio dell’ispettore generale dell’Epa nel 2018 ha identificato più di 350 inquinanti in un campione di fanghi, di cui 61 che classifica “come inquinanti acutamente pericolosi, pericolosi o prioritari”. Ciò ha spinto a chiedere un divieto o una regolamentazione molto più rigorosa dei fanghi, così come sta succedendo in Italia dove il Salvagente ha lanciato una petizione, tornata di stringente attualità da quando la procura di Brescia ha scoperto un mega giro di sversamento di fanghi tossici come fertilizzanti nel Nord Italia.
Negli Usa, gli autori hanno anche utilizzato un metodo di test diverso per verificare il livello totale di fluoro organico, che è un indicatore di Pfas e fornirà una lettura più accurata dei livelli. Questi risultati hanno trovato fino a 233 parti per miliardo di fluoro, che gli autori hanno scritto essere “simili alle concentrazioni riscontrate nei pesci raccolti in aree altamente inquinate e migliaia di volte superiori alle quantità regolamentate nell’acqua potabile”. Un portavoce della Water Environment Federation, un gruppo commerciale che rappresenta i distretti delle acque reflue, ha chiesto una regolamentazione più rigorosa dei Pfas: “Il modo migliore per ridurre i Pfas è fermare l’inquinamento alla fonte vietando l’uso nel commercio, fermando gli scarichi industriali e ripulendo i siti contaminati”.
Cnr: in Piemonte trovati nelle uova degli uccelli
Intanto in Italia, un report del Cnr sullo studio lungo le rive del Bormida e nelle vicinanze degli scarichi della Solvay, vicino Alessandria, ha rilevato la presenza di pericolosi composti fluorati come Pfoa e C6O4 nelle uova di storni e cince. “Per molti anni le uova di uccelli sono state usate per monitorare la presenza della contaminazione da Pfas, specialmente in zone marine e remote” hanno spiegato gli studiosi che hanno posizionato appositamente le casette per nidificazione di uccelli stanziali.
Gli autori sono gli scienziati Michelangelo Morganti, Stefano Polesello , Simona Pascariello, Claudia Ferrario, Diego Rubolini, Sara Valsecchi e Marco Parolini. Polesello, che coordina il gruppo di scienziati, da anni studia i Pfas e la loro concentrazione nell’acqua e nell’aria, spiega che “lo studio è ancora in corso, i risultati ancora parziali”. Spiega che “le casette, una quarantina, sono state realizzate in modo che nidificassero solo volatili stanziali e non uccelli migratori. Da quella nidificazione abbiamo preso un uovo per nido, ci siamo dati anche regole etiche anche se quel tipo di volatili non sono specie in via di estinzione”.
“Il timore che finiscano nell’organismo umano tramite le uova”
I risultati preliminari sono quelli che, come riporta il Secolo XIX, Stefano Polesello, (Irsa istituto di ricerca sulle acque), tra gli autori dello studio, si attendeva: “È stato ritrovato Pfoa, un Pfas che la Solvay dice di non produrre o comunque di cui ha ridotto la produzione e il C6O4. Specie di uccelli diversi presentano ‘inquinamento’ delle uova diverso. Le cince il C604, gli storni il Pfoa. Ci interessa – spiega Polesello – per capire come i Pfas si muovono nell’ambiente, specie diverse con diete diverse acquisiscono sostanze diverse. Ma uno dei fatti importanti è che trovando il C6O4 in un uovo, precisamente nel tuorlo, la sostanza passa attraverso la catena alimentare e si accumula nell’uovo. Significa che è bio accumulabile, cosa che non risultava secondo le metodologia di analisi del Reach (il regolamento sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche europeo; ndr). E quindi i modelli che si usano per la bioaccumulabilità, a livello europeo, non valgono per quel tipo di sostanza”. Gli scienziati temono che un passaggio simile possa verificarsi anche nella catena alimentare avicola, e che l’essere umano possa assorbire Pfas pericolosi per la salute anche attraverso le uova di gallina.
Claudio Lombardi, di Legambiente e del comitato Stop Solvay di Spinetta Marengo, commenta così: “L’Asl ingiunga alla Provincia di Alessandria con decorrenza immediata in base al principio di precauzione di non autorizzare la produzione del C6O4 e di far cessare immediatamente quella di Adv 7800 sostanza del tutto chimicamente simile al tossico e vietato Pfoa. Richieda inoltre alla Regione Piemonte ed al Istituto Superiore di Sanità di far condurre sui lavoratori del Polo Chimico, sugli abitanti di Spinetta e sulle matrici ambientali della Fraschetta analisi epidemiologiche, ematologiche e tossicologiche “super partes” e non fornite al controllore dal controllato”