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Nei giorni scorsi la commissione Trasporti poste e telecomunicazioni della Camera ha espresso parere favorevole sulla valutazione di innalzamento dei limiti di legge oggi in vigore per i campi elettromagnetici. La soglia passerebbe da 6 volt al metro a 61, decuplicandosi. Senza contare che ad oggi sono considerati come avversi solo gli effetti termici, cioè il riscaldamento dei tessuti, e non quelli biologici. Per questo motivo Legambiente, insieme a scienziati e ad altre associazioni, enti, comitati cittadini, i è appellata al presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e al presidente della Camera dei deputati Mario Fico illustrando in una lettera le ragioni dei propri timori.
Ciafani: “Scelta incomprensibile”
“Non si comprende il parere favorevole alla valutazione di innalzamento dei limiti di esposizione all’inquinamento elettromagnetico in Italia per il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr)- dichiara il presidente di Legambiente Stefano Ciafani -. Implementare nuovi tipi di radiofrequenze, come alcune di quelle utilizzate con il 5G, con un contemporaneo innalzamento dei limiti di protezione, non è necessario tecnicamente e quanto meno inopportuno, considerando i pericoli emersi da studi sperimentali ed epidemiologici sulle frequenze già in uso. Qualora tale proposta venisse accolta nella normativa nazionale, non potremmo che ravvisarvi motivate criticità sul piano sanitario”.
Oggi i limiti italiani sono più cautelativi
In Italia il limite massimo di esposizione al campo elettrico a radiofrequenza (Cemrf) è di 20 Volt/metro (40 V/m per le onde centimetriche) per esposizioni brevi od occasionali, mentre è di 6 Volt/metro il tetto di radiofrequenza (valore di attenzione) per il campo elettrico generato dalle radiofrequenze/microonde per esposizioni all’interno di edifici adibiti a permanenza non inferiore a quattro ore giornaliere (DM 381/ 98 e del DPCM8/7/2003). “Asserire che i limiti italiani sono inferiori solo di tre volte a quelli europei, quando lo sono di 100 volte in termini di densità di potenza, è riduttivo e fuorviante rispetto alla reale entità del cambiamento. L’Italia ha una normativa molto avanzata sotto il punto di vista della tutela della salute: sono gli altri paesi europei che devono allinearsi al nostro e non viceversa” prosegue Stefano Ciafani.
Belpoggi: “Gli studi parlano di relazioni con fenomeni cancerogeni”
Il limite proposto di 61 Volt/metro non tiene conto delle numerose evidenze scientifiche in laboratorio che hanno ormai dimostrato la presenza di effetti biologici non termici anche molto gravi, fino a forme tumorali, anche in presenza di livelli di esposizione inferiori. La monografia 102 del 2013 dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione definisce i campi elettromagnetici a radiofrequenza come “possibilmente cancerogeni per l’uomo” sulla base di una corposa serie di studi sul rischio di tumore cerebrale per gli utilizzatori di telefoni cellulari, ritenendo “credibile” questa relazione di causa e effetto, senza escludere però il ruolo di spiegazioni alternative. Fiorella Belpoggi, direttrice scientifica dell’Istituto Ramazzini, racconta: “Già nel 2011 era strato registrato un aumento del tumore al cervello e all’orecchio in soggetti esposti da almeno dieci anni a un uso intenso del cellulare. Dopo lo Iarc, sono arrivati altri studi importanti, tra cui i due recenti relativi a esperimenti su animali di laboratorio, svolti dal National Toxicology Program negli USA e da noi dell’Istituto Ramazzini di Bologna, che hanno mostrato eccessi di rischio per i tumori del sistema nervoso a livello cerebrale e cardiaco per livelli di campi elettromagnetici elevati”. In particolare, i ricercatori dell’Istituto Ramazzini hanno presentato i risultati della sperimentazione animale, che prende in esame lo standard 3G, da loro condotta, con risultati congruenti con quelli dello studio del National Toxicology Program (NTP), che mostrano criticità ad alte esposizioni (50 V/m), comparabili a quelle permesse nei Paesi Europei, per un elevato numero di ore al giorno (19 ore). A questi studi si devono aggiungere quelli più noti sull’uso dei cellulari.
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La battaglia si gioca nell’ambito normativo
Fausto Bersani, fisico, e membro di Federconsumatori e Isde, spiega: “Secondo la legge quadro 36 del 2001, all’articolo 8, i Comuni possono approvare regolamenti appositi per minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici. Gli strumenti ci sono, bisogna usarli, tanto più che l’introduzione delle nuove tecnologie, tra cui il 5G, porta a scenari ambientali molto complessi perché i livelli di elettromagnetismo risulteranno estremamente variabili nello spazio e nel tempo”. Bersani fa anche notare che per quanto riguarda i limiti di esposizione, il Governo Monti, nel 2012, ha approvato modifiche alle metodologie di misurazione dei campi elettromagnetici, chiedendo di considerare come valore di esposizione la media dei valori misurati in 24 ore e non più sulla media di 6 minuti (nelle ora di maggior traffico telefonico). Ma misurare il campo elettromagnetico in questo modo elimina il problema dei picchi delle esposizioni che avvengono nelle fasce orarie diurne, quando avvengono la maggior parte delle comunicazioni.
Le richieste
Per questo, Legambiente e tutti i firmatari ritengono fondamentale:
- mantenere per i campi elettrici generati dalle radiofrequenze/microonde all’interno di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, il valore di protezione di 6 Volt/metro;
- riportare la misurazione del campo elettrico o della densità di potenza dell’onda elettromagnetica per i controlli dei Comuni e delle ARPA a medie sui 6 minuti invece che nelle 24 ore, come prevedeva la norma tecnica CEI 211-7, modificata dal decreto legge del Governo Monti n. 179/2012;
- mantenere e favorire lo strumento del regolamento Comunale come forma di pianificazione territoriale e tutela sanitaria, in particolare per categorie particolarmente vulnerabili;
- finanziare ricerche indipendenti, epidemiologiche e sperimentali, sulle onde centimetriche del 5G a 26 GHz (non ancora studiate in maniera adeguata,) finalizzate ad approfondire i possibili impatti sulla salute.