Ecco come l’industria alimentare condiziona la ricerca scientifica

RICERCA SCIENTIFICA

Il vino fa bene alle arterie? Quanto volge a settimana è giusto mangiare carne rossa? I latticini sono essenziali nella dieta quotidiana? Uno studio recente mostra in che misura la ricerca nutrizionale, che dovrebbe rispondere a queste domande a tutela della salute pubblica, è influenzata dall’industria alimentare. I ricercatori delle università di Deakin (Australia) e San Paolo (Brasile), analizzando quasi 1.500 studi pubblicati nel 2018 sulle principali riviste di nutrizione, si sono resi conto che le conclusioni delle pubblicazioni scientifiche relative alla nutrizione sono quasi sette volte più spesso favorevoli all’industria alimentare quando sono state finanziate da quest’ultima. Un risultato scontato ma di non semplice individuazione ad una lettura poco attenta degli studi perché in tutti questi casi i conflitti di interesse non erano esplicitamente dichiarati.

I ricercatori hanno calcolato che più della metà dei 196 articoli scientifici con collegamenti all’industria alimentare ha portato a conclusioni favorevoli a quest’ultima. Al contrario, questo è stato il caso per meno del 10% degli studi indipendenti.

“Gli studi relativi all’industria alimentare si concentrano su argomenti a loro adatti, come l’identificazione degli effetti potenzialmente benefici di una molecola presente nei loro prodotti, invece di guardare agli effetti complessivi delle diete sulla salute. Questo offusca il messaggio scientifico ricevuto dai media e dai politici “, si rammarica Gary Sacks, primo autore dello studio.

Basta una rapida occhiata ai siti web delle riviste di nutrizione per trovare un esempio di questo fenomeno. Prendiamo ad esempio uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista The Journal of Nutrition che si concentra sul succo d’arancia: mentre i suoi autori dichiarano “nessun conflitto di interessi”, un’attenta lettura degli asterischi rivela che il loro lavoro è di fatto finanziato da Coca-Cola Europe. E in questo studio i ricercatori sono interessati agli effetti di alcune molecole, chiamate polifenoli, che sono contenute in diversi succhi d’arancia commercializzati dal gigante alimentare.

Le loro analisi su un centinaio di volontari suggeriscono che questi polifenoli riducono lo stress ossidativo, sospettato di favorire l’invecchiamento del corpo. I ricercatori non si spingono a dichiarare che il succo d’arancia preserva la giovinezza, ma nulla vieta a chi legge di trarre quelle conclusioni soprattutto quando si leggono affermazioni del tipo “troviamo nell’arancia polifenoli, alleati antietà che rafforzano la protezione delle cellule”. A cinque giorni dalla pubblicazione di questo articolo (ancora online, come tanti altri della stessa tipologia), uno studio indipendente condotto su circa 100.000 persone mostrerà, al contrario, che il consumo regolare di succhi di frutta è associato a un rischio maggiore di sviluppare il cancro. Un effetto probabilmente dovuto al loro alto contenuto di zuccheri …

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Questo studio spagnolo sul succo d’arancia è solo una delle tante pubblicazioni che hanno collegamenti con la Coca-Cola. Solo per l’anno 2018, nove articoli scientifici pubblicati nelle 10 principali riviste di nutrizione avevano evidenti collegamenti con questa azienda. E Coca-Cola non è l’unico gruppo industriale coinvolto nella ricerca sulla nutrizione: altri, come Nestlé e Danone, sono decisamente in testa con, rispettivamente 44 e 43 studi pubblicati e riconducibili a loro.

“Questo studio non è il primo a mostrare l’influenza dell’industria alimentare sulla ricerca nutrizionale, ma purtroppo conferma che il problema persiste. Potrebbe addirittura aumentare” conclude Gary Sacks, perché “ovunque nel mondo, i finanziamenti pubblici per la ricerca sulla nutrizione stanno diminuendo e la quota dei finanziamenti privati ​​è in aumento”.