Da alimento desiderato tanto da essere oggetto di mercimonio quando vietato dalla Chiesa durante la Quaresima, a colpevole di ogni male. Il burro è stato protagonista, storicamente, di un rapporto di amore e odio in Italia. Culminato, negli ultimi decenni, con il pressoché totale bando, con l’accusa di contenere una quantità elevata di colesterolo cattivo, Non così all’estero, dove ha continuato ad avere un discreto successo.
Oggi continua a dividere, tra chi continua a guardarlo con sospetto e chi lo esalta, come ha fatto una provocatoria copertina del Time, “Mangiate il burro. Gli scienziati hanno bollato i grassi come nemici. Ecco perché si sbagliano”. Così recitava il titolo del settimanale statunitense a giugno del 2014, lanciandosi in una strenua difesa del panetto e citando uno studio dell’Università di Cambridge secondo cui è ricco di vitamina A, D, K ed E, che insieme al selenio sono essenziali per il sistema nervoso e immunitario.
Il nostro test sul burro
Ed è proprio a questo “nuovo” alimento – che nel nostro paese è più simile a un condimento – che abbiamo dedicato il test del mese del Salvagente, in edicola da venerdì 25 settembre.
I 15 PANETTI TESTATI
- BIRAGHI BURRO SELEZIONE
- CAMPO DEI FIORI BURRO FORMATO CASALINGO
- CONAD
- COOP
- ESSELUNGA
- GRANAROLO burro italiano
- LAND (EUROSPIN)
- LATTERIA BURRO (LIDL)
- LATTERIA SORESINA
- LURPAK CLASSICO
- NUOVO PREALPI A RIDOTTO CONTENUTO DI COLESTEROLO
- OPTIMUS
- PARMAREGGIO
- SANTA LUCIA CLASSICO
- VIPITENO BURRO DI QUALITA’
A 18 anni di distanza dall’ultimo test del Salvagente che bocciava la qualità del burro italiano in favore di quello straniero, il confronto su 15 panetti promuove – seppur non sempre con il massimo dei voti – la maggioranza del campione. E non sembra, questa volta, bocciare il made in Italy. Una classifica, però, in cui non mancano le brutte sorprese.
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Brutte soprese igieniche
La prima riguarda la presenza in qualche campione di lieviti e coliformi. Una presenza che non dovrebbe lasciare le aziende indifferenti – come suggerisce Daniela Maurizi, chimico e Ceo del Gruppo Maurizi – anzi dovrebbero approfittarne per un maturo esame di coscienza: la presenza di lieviti e coliformi, infatti, indica che, almeno nel lotto analizzato a voler essere buoni, c’è stata una falla nelle misure igieniche.
Ma una buona prova sul sapore
I nostri burri sono stati anche oggetto di una prova organolettica: 10 giudici esperti e addestrati hanno guardato, odorato e assaggiato i panetti e quello che è emerso è un quadro rassicurante a dimostrazione del fatto che anche un burro “da affioramento” (come è la maggior parte del nostro campione) può incontrare il favore di un palato esperto (e non solo). Di solito, infatti, i burri da centrifuga – non a caso il metodo di produzione del burro nel Nord Europa – sono organoletticamente superiori ma trovare questo tipo di burro nei supermercati italiani è quasi impossibile. Sono troppo poche, infatti, le informazioni sui panetti: un favore alle industrie e un danno ai consumatori per i quali sarebbe, invece, importante avere indicazioni utili per sceglierlo. Una povertà di indicazioni che, tanto per fare un esempio, segna una distanza abissale con l’etichetta dell’olio extravergine. In questo caso, infatti, i produttori sono obbligati a indicare l’origine delle olive, a specificare l’acidità, il metodo di produzione e tutta una serie di parametri chimici.
Etichetta troppo avara
Nel caso del burro, se solo le industrie lo volessero, un’etichetta completa potrebbe facilitare la vita dell’acquirente. Invece di frasi vuote e senza grande senso come “ottenuto da creme selezionate” o “da pascoli di montagna”, per esempio, sarebbe molto più utile specificare se si tratta di un prodotto ottenuto dal siero o tramite centrifugazione o ancora di affioramento. E, magari, segnalare anche caratteristiche chimiche importanti per riconoscere la bontà del prodotto, come acidità e perossidi.
Un miraggio? Per l’Italia sì, per i paesi dove il burro si fa sul serio no, visto che in questi casi gli acquirenti trovano in anche la distinzione di qualità tra prodotto “normale” e “superiore”.
Da noi, invece, oltre l’origine del latte (conquista recente), c’è la tabella nutrizionale, magari un dosatore prestampato per conoscere la quantità di burro che stiamo utilizzando. Davvero poco.