La Campagna Abiti Puliti, membro del network della Clean Clothes Campaign, lancia la nuova piattaforma Fashion Checker che mostra dove vengono fabbricati i nostri vestiti e le condizioni di lavoro in cui vengono prodotti. Il nuovo strumento on line finanziato dall’Unione europea, permette a lavoratori, attivisti e consumatori di conoscere dati reali sulle catene di fornitura dei più grandi marchi della moda, tra cui i giganti come Primark, Bestseller e Topshop.
Il 93% non si impegna per un salario dignitoso
Un po’ di dati raccolti dalla Campagna: il 93% dei brand intervistati non ha fornito prove concrete del proprio impegno a pagare salari dignitosi nella propria catena di fornitura, il 63% non ha fornito informazioni sui nomi e gli indirizzi dei propri fornitori o ha rispettato solo parzialmente i requisiti del Transparency Pledge. Tra le imprese italiane intervistate, solo il 50% ha risposto al questionario “La Campagna Abiti Puliti – si legge in una nota – userà i dati della piattaforma per fare ulteriore pressione sui marchi e sui decisori pubblici affinché vengano aumentati i salari assicurando il salario dignitoso per tutti i lavoratori e le lavoratrici del settore entro il 31 dicembre 2022″.
“Le aziende spesso non pubblicano informazioni sulla loro catena di fornitura perché ciò significherebbe associare il proprio brand ai salari di povertà che ricevono i lavoratori e le lavoratrici. Questo comportamento è irresponsabile e non può continuare: per questo motivo la necessità di avere dati precisi e aggiornati sui fornitori e sui salari effettivamente pagati lungo la filiera è ormai diventata urgente” dichiara Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti.
Zara, Geox e Decathlon bocciati in trasparenza
Ma come si comportano i big del fast-fashion italiano o dei principali marchi venduti in Italia? Sulla trasparenza di filiera (la pubblicazione dei fornitori) spiccano Adidas, H&M, Benetton, Levi’s e Nike mentre i meno trasparenti risultano essere Prénatal, Zara, Gucci, Geox, Calzedonia e Decathlon.
In fatto di salari dignitosi invece nessun marchio si è espresso “sul punto e non abbiamo trovato prove che i suoi fornitori pagano salari vivibili ai dipendenti. Fa eccezione Gucci che “afferma che più del 50% dei suoi fornitori dichiarano di pagare il salario ai propri dipendenti; fornisce alcune spiegazioni, ma non prove concrete“.
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Ma anche tra coloro che fanno meglio di altri, le differenze non mancano. Benetton ad esempio, si legge sulla piattaforma, “non si è impegnata pubblicamente a garantire che un salario di sussistenza venga pagato lungo la sua filiera”, mentre H&M “si è chiaramente impegnata ad assicurare il pagamento di un salario di sussistenza lungo la sua catena di fornitura”.