“Io lavoro nello stesso call center di Emanuele, stiamo allo stesso piano, lo conosco da anni”. Francesca (il nome è di fantasia, perché vuole mantenere l’anonimato per non rischiare il posto di lavoro) non riesce ancora a parlare al passato del collega. Renzi, morto a 34 anni, il 22 marzo, dopo aver contratto il coronavirus, lavorava insieme a lei nello stesso call center di Roma. Lo abbiamo raccontato qui, e una volta chiarito dall’autopsia che il giovane era in salute prima di contrarre il virus, una cosa è certa. Dal 9 marzo, ultimo giorno in cui Emanuele si è recato al lavoro, fino a quando l’azienda titolare del call center Youtility, Gruppo distribuzione, ha preso dei provvedimenti anti-contagio, è passato tanto tempo. Troppo, per Francesca, secondo cui i casi sospetti in quella grande palazzina sulla Tiburtina, dove lavorano circa 2mila persone, c’erano anche diversi giorni prima. Il racconto di Francesca è a tratti raggelante, rispetto alle condizioni in cui in piena emergenza, questi lavoratori sono stati tenuti alle postazioni pur di portare a casa uno stipendio modesto.
Francesca, perché dice che i problemi col coronavirus potrebbero essere iniziati ben prima?
Io non vado a lavoro dal 5 marzo, perché già tra noi lavoratori ci scambiavamo messaggi in cui girava voce che c’erano due casi che erano stati isolati per il coronavirus.
Nei giorni precedenti al 9 marzo, Emanuele però era in Spagna.
Lui è stato in viaggio dal 6 all’8. E questi messaggi girano dal 4 marzo. Hanno attribuito questo contagio sfortunato di Emanuele al viaggio in Spagna, ma io credo che o lui o altre persone avevano già sintomi prima.
Come fa a dirlo?
Io so di un’altra persona che è stata a casa con una febbre altissima per una settimana, tra fine febbraio e i primi di marzo, e che tra l’altro lavorava a stretto contatto con Emanuele. Non credo alle coincidenze. Lei è tornata a lavoro finita la febbre.
Apprende queste cose e si rifiuta di continuare a lavorare?
Alla luce di questo il 4 è stato il mio ultimo giorno di lavoro. Ho comunicato ai miei diretti responsabili che non mi piaceva come stavano gestendo la situazione, e ho detto che non fidandomi preferivo non andare. Il mio responsabile mi ha detto “fai bene”, e me l’ha ribadito anche ieri in alcuni messaggi che ci siamo inviati.
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Era libera di rifiutare i turni?
Io ho un contratto a progetto di collaborazione, che mi scade a breve. In genere loro fanno contratti di due mesi in due mesi. Se avranno la noncuranza di non rinnovarmi il contratto me ne farò una ragione. Ho dato la precedenza alla salute, anche perché i miei genitori sono anziani. E comunque vengo pagata a presenza, e a ore.
Quando ha cominciato l’azienda a mettere in atto delle misure di sicurezza?
In seguito a delle segnalazioni, è stato fatto un primo controllo di carabinieri e protezione civile intorno ai primi di marzo, mi pare 6-7 marzo. Ma per tutta la prima settimana di marzo, e almeno fino al 12-13 di marzo, quando hanno distanziato le postazioni, lì dentro nessuno ha rispettato le norme. Tant’è che io ho i messaggi con i responsabili a cui chiedevo cosa avessero fatto e mi rispondevano “danno i guanti, hanno messo il disinfettante”. E non ci sono comunicazioni di sanificazione ai lavoratori, almeno fino allo scorso venerdì, quando Emanuele è stato ricoverato.
E le mascherine?
Non hanno distribuito mascherine, né le hanno richieste obbligatorie. La mia collega che adesso è in quarantena ai primi di marzo chiedeva delle misure di protezione in chat e la prendevano in giro. Lascio immaginare che clima di sottovalutazione c’era.
Però hanno distanziato le postazioni.
Ma cosa hanno fatto? hanno tolto una persona sì e una no, ma la persona che ho alle spalle mi passa a 50 centimetri quando deve alzarsi, struscia alle sedie.
E prima di questa misura, nei giorni, forse settimane, in cui siete stati sottoposti al rischio di contagio, come lavoravate?
Normalmente le postazioni, da testa a testa sono 80 centimetri. Lo abbiamo misurato. Ogni isola ha sei postazioni da un lato e sei dall’altro, e le due file si guardano. Quindi adesso, avendo svuotato una postazione ogni due, si lavora a scacchiera.
Puo dirci qualcosa di più sugli spazi di lavoro?
Per ogni piano ci sono sei bagni per le donne e sei per gli uomini, senza areazione e senza finestra. Si consideri che nella nostra sede ci lavorano circa 2000-2200 persone, in media 700 per piano. Ci sono stanze da 50-60 persone, stanze da 200 più o meno, vado a spanne.
Se le condizioni di lavoro sono davvero così difficili, perché non avete protestato?
Noi la denuncia la dovevamo fare prima. Qualche mese fa abbiamo avuto il problema dei topi. Abbiamo i video dei topi che girano per le sale. Prima hanno negato poi dopo che abbiamo mostrato il video hanno messo le trappole. Però si sa che quando devi lavorare e stai con questi contratti, e si è in tanti, non si riesce ad avere l’unità tra colleghi, e quindi nessuno dice niente.
Quanto si guadagna al call center?
Dipende, si va da un minimo di 6-700 euro a 1000-1200. La paga oraria sono 6,80 euro lorde l’ora circa, e poi ci sono altre aggiunte legate alla prestazione. In media si guadagna 800 euro, con turni di 6-7 ore al giorno.
Con che tipo di contratti?
La maggior parte di queste persone ha questo contratto, solo che sta all’assistenza clienti, le chiamate in ricezione, in alcuni casi viene assunto per un anno dall’agenzia interinale con contratto di apprendistato a tempo determinato. Dopo un anno, se sei fortunato ti fanno l’indeterminato, caso raro, se no cambiano con altri ragazzi.
Il call center ha anche una sede a Frascati. Avete avuto contatti con loro in questo periodo?
Nei primi giorni di marzo, dei dipendenti di Frascati sono stati trasferiti lì in via Faustiniana, perché dicevano che a Frascati dovevano ampliare per un’altra commessa. Gli stessi, appena è successo il fatto, in questi giorni, sono stati rimandati a Frascati a lavorare. Tant’è che si sono presentati la mattina da noi, si sono loggati, che è come dire hanno timbrato, e sono stati fatti sloggiare e tornare alla loro sede. Parliamo della settimana scorsa.
Dopo la morte di Emanuele, l’azienda ha chiuso per sanificare e ha ricevuto la visita dell’Asl. Tutto risolto, secondo lei?
Una collega che era entrata in contatto con una responsabile di reparto che era stata a sua volta in contatto con Emanuele, ha dovuto fare l’autodenuncia alla Asl per andare in quarantena obbligatoria. Il problema è che se la Asl non richiede i nominativi all’azienda e non li contatta uno per uno, e le persone non si autodenunciano la catena non si spezza.
Ma la questione smart working era stata posta in ufficio?
Prima i colleghi lo chiedevano e rispondevano che si stavano preparando. Oggi stanno provvedendo a far fare lo smart working a tutti quelli che fanno assistenza, che ricevono la chiamata dal cliente. A chi propone contratti no, credo anche perché se lavorano da casa, possono cercare di ottenere risultati in maniera scorretta, senza qualcuno che li controlla. In ogni caso domani l’azienda riapre, mi è appena arrivato un messaggio dai colleghi.
Come ultima cosa vorrei chiederle cosa pensa della decisione del governo di lasciare aperti i call center nonostante il rischio contagio?
Io capisco che l’assistenza clienti, in un momento in cui siamo tutti a casa, vada mantenuta. Anche io ho internet e se ho un guasto devo poterlo comunicare a qualcuno. Ma per quanto riguarda la vendita e tutto l’outbound, come viene definito, è assurdo che funzioni. Io in questi giorni a casa ho ricevuto chiamate da società che mi proponevano offerte di luce e gas… trovo scandaloso che si chiami in tutta Italia, come prevedono le liste fornite dall’azienda. Io i primi di marzo chiamavo al nord e mi veniva l’ansia. Li vai a disturbare in un momento così. Come quando abbiamo chiamato a Genova dopo il crollo del ponte. In quei momenti l’azienda dovrebbe fare una cernita in base alla zona che vai a contattare. Signori, un po’ di vergogna?
Abbiamo raccolto la versione di un lavoratore del call center di via Faustiniana 28, a Roma. Restiamo a disposizione di Gruppo Distribuzione, così come per il precedente articolo, in caso volesse fornirci la sua versione dei fatti.