La notizia che alcune regioni hanno attivato a causa del Coronavirus sistemi semplificati per prescrivere la ricetta dei medicinali di fascia A ai cittadini, in modo da evitare il viaggio verso l’ambulatorio, ha sollevato gli abitanti di Lombardia, Veneto, Sardegna, Emilia-Romagna, Toscana e Abruzzo, e fatto arrabbiare gli altri. “Perché nella mia regione non si può?” è la domanda più comune arrivata al Salvagente. L’abbiamo girata a Domenico Crisarà, vicesegretario nazionale della Federazione italiana medici di famiglia, nonché dottore operativo in provincia di Padova, una delle zone più calde per quanto riguarda il contagio da Covid-19.
Dottor Crisarà, in Veneto la ricetta dematerializzata è attiva da prima dell’emergenza e in maniera ancora più radicale delle altre regioni. Come funziona?
In Veneto sono 4 anni che noi dematerializziamo completamente la ricetta. L’abbiamo abilitata per i farmaci cronici, quelli ripetitivi, che poi sono quelli che usano le persone anziane. Il mio paziente mi fa una richiesta in un modo qualunque, per telefono, per mail, mi lascia un appunto, e mi dice quello che gli serve. Ovviamente se io non ho nulla da eccepire, se si tratta di rinnovare un farmaco che lui già piglia e non devo fargli un controllo, io autorizzo la ricetta, lui col suo tesserino sanitaria va in qualunque farmacia del Veneto e ritira i suoi farmaci.
Che differenza c’è con le modalità attivate di recente nelle altre regioni?
La differenza è che c’è comunque una trasmissione dell’Nre (numero di ricetta elettronica, ndr) al paziente, che con questo va in farmacia. Col sistema che hanno raffazzonato all’ultimo momento, la carta ancora c’è. La differenza è che adesso la stampa il farmacista, cosa che è inutile.
Meglio che nulla.
Sicuramente è meglio quello che nulla, ma se lei guarda i passaggi, significa che io debbo inviare via mail il numero di nre al paziente, lui che spesso è anziano, se lo deve stampare e portarlo in farmacia, la farmacia deve poi stampare di nuovo la ricetta. Col sistema nostro, che tra l’altro hanno iniziato anni prima in provincia di Trento, non esiste nessuno di questi passaggi. Il farmacista spara con la pistola sul tesserino sanitario è ha direttamente sul computer tutti i dati che gli servono.
C’è forse un problema di tipo tecnologico, come l’adeguamento dei software?
Nessuno, perché il sistema veneto lavora dentro il fascicolo sanitario elettronico.
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Allora perché la ricetta dematerializzata come in Veneto non viene attivata in tutte le regioni, vista l’urgenza di ridurre i contatti sociali?
C’è una fortissima resistenza dei farmacisti perché hanno degli interessi economici. Se la una farmacia è vicina a una medicina di gruppo come la mia dove ci sono sei medici, secondo lei con questo sistema vende di più o di meno? Federfarma Belluno ci fece un ricorso al Tar che ha perso. E non più tardi dello scorso gennaio, Federfarma Veneto ha chiesto al presidente Zaia e all’assessore Lanzarin di ritornare al promemoria, la ricetta bianca. Questa è una delle resistenze.
Quali sono le altre?
C’è stata poca attenzione da parte anche delle regioni e di Sogei (Società controllata dal ministero dell’Economia, che ha tra i suoi compiti quello di controllare la spesa pubblica sanitaria, ndr). Qual era il loro scopo? Il controllo della spesa. Una volta che hanno tutti i dati, e così ce li hanno, che gliene importa se i cittadini devono andare in giro per le ricette? Non hanno semplificato il percorso. Non l’hanno vista come una priorità. Le regioni avrebbero potuto già da tempo attuare questo sistema. Addirittura noi stavamo sviluppando in questo periodo anche la dematerializzazione completa anche delle ricette in fascia C.
A tal proposito, chiariamo ai fortunati italiani che possono approfittare della ricetta dematerializzata, a quale farmaci è dedicata?
In questo momento, questo sistema è possibile solo per le ricette di fascia A, quelle che paga il sistema sanitario nazionale. Non vale per le ricette in distribuzione per conto delle farmacie ospedaliere, Le cosiddette ricette rosse, e per i farmaci di fascia C, quelli a carico del cittadino.
Ci può spiegare come la ricetta dematerializzata incide sul vostro lavoro?
Tenga conto dell’organizzazione degli studi dei medici. Il tempo che io e il mio personale risparmiamo se la persona non viene per la ricetta.
E poi c’è la legittima preoccupazione del medico di famiglia che ogni giorno va in ambulatorio e spera di non venire contagiato.
Questo è fondamentale. Io lavoro a Padova, capisce la situazione attuale. Noi per prima cosa abbiamo riorganizzato gli accessi. Normalmente abbiamo tra le 20-25 persone dalle otto di mattina alle sette di sera. In questo periodo è improponibile una roba del genere. Tant’è che le segretarie non prendono più appuntamenti. Prendono nota, ci consegnano la lista e noi chiamiamo uno per uno, cercando di risolvere il problema o al telefono o fissando delle visite assolutamente mirate, per far stare massimo 3-4 persone contemporaneamente allo studio. Ora, lei pensi all’andare e tornare di chi veniva per le ricette.
Dunque, fate un appello affinché il modello veneto sulle ricette venga applicato in tutta Italia?
Certo. La dematerializzazione completa, senza passaggi intermedi. Se il sistema fosse omogeneo già oggi mia madre in Calabria potrebbe ricevere le ricette da me che sono a Padova, e lei andrebbe in qualsiasi farmacia a ritirarle. Ci sarebbe, tra l’altro, il totale abbattimento dell’accumulo in casa di medicine. Perché se tu hai la certezza che comunicando col tuo medico, lui ti fa la ricetta e la ritiri dove vuoi, non ti fai più la scorta.