Un’inchiesta, come avevamo auspicato già nelle prime righe del giornale in edicola, che sta facendo discutere. E non potrebbe essere altrimenti dato che le Ombre sul latte (questo il titolo di copertina del nostro nuovo numero) sono tali da non poter passare come inosservate in tempi in cui l’antibiotico-resistenza è diventata un’allerta mondiale, oramai da diversi anni. E dunque il test del Salvagente su 21 latti, freschi e Uht, e i risultati che evidenziano come in 12 siano stati rintracciate tracce di antibiotici, antinfiammatori, cortisonici sono diventati una notizia che ha fatto il giro del paese.
12 confezioni su 21, sono tante – non c’è dubbio – ma c’è poco da stupirsi se si parte dal presupposto che secondo l’ultimo rapporto dell’Ema (l’Agenzia europea del farmaco) l’Italia è seconda solo a Cipro per vendite di antibiotici veterinari, con un uso 2,5 volte più alto della media europea.
Di questo e dei rischi che una tale presenza, pur se molto bassa e certamente di molto inferiore ai limiti di legge, si è discusso nella partecipata conferenza stampa che il Salvagente ha organizzato per anticipare il test a giornali e televisioni.
il video integrale della conferenza stampa
Da dove arrivano i residui di farmaci
A rispondere a questa domanda è stato Enrico Moriconi, veterinario e Garante del benessere animale della Regione Piemonte. Che ha spiegato: “Negli allevamenti convenzionali, al contrario del biologico dove non sono permessi trattamenti con antibiotici, si usano le sostanze che avete trovato. In genere si somministra l’antibiotico mentre il cortisone e l’antinfiammatorio sono coadiuvanti nella cura della mastite. Si tratta di un’infezione della mammella delle mucche sottoposte a un forte stress produttivo”.
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Per risolvere il problema sarebbe sufficiente un uso più razionale dei farmaci negli allevamenti, gli chiediamo? “Sarebbe più urgente cambiare radicalmente i nostri stili di vita. Se si volessero allevare mucche secondo i loro bisogni, un litro di latte costerebbe 4 euro e avremmo la gente in piazza a fare la rivoluzione. Il cambiamento deve arrivare da noi, se continuiamo a consumare in maniera così sapropositata come adesso i prodotti di origine animale”.
Qual è il rischio?
“Ma se è tutto abbondantemente dentro i limiti di legge, qual è il problema?” Qualcuno, tra le migliaia di commenti che sono circolati sui social dopo la nostra inchiesta, ha voluto sottolineare in questo modo i risultati delle analisi che il Salvagente riporta integralmente nel numero in edicola, assieme ai risultati e ai nomi dei prodotti analizzati.
I rischi sono di due tipi, come ha spiegato Ruggiero Francavilla, pediatra, gastroenterologo dell’Università degli studi di Bari: l’antibiotico-resistenza e l’alterazione del microbiota dei bambini, gli organismi più esposti. “Nel primo caso il problema è generale e riguarda anche gli adulti. L’assunzione costante di piccole dosi di antibiotico con gli alimenti determina una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale a vantaggio dei batteri resistenti agli antibiotici che diventano più rappresentati; questa informazione genetica viene trasferita ad altri batteri anche patogeni. La dispersione del materiale fecale permette poi la diffusione dell’informazione genetica dal singolo soggetto all’ambiente e la diffusione nella popolazione”. Il professore sottolinea come purtroppo oltre allo sviluppo di resistenze, l’uso di antibiotici altera fortemente il microbioma umano (l’insieme di batteri che abitano il corpo). E spiega: “La scomparsa di questi organismi indigeni ancestrali, che sono intimamente coinvolti nella fisiologia umana, potrebbe avere conseguenze importanti tali da includere condizioni come l’obesità e l’asma“.
E allora, che fare?
È la domanda che molti ci hanno fatto, dopo aver letto le nostre indagini. Una risposta molto efficace l’ha data Alberto Ritieni, professore di Chimica degli alimenti all’Università Federico II di Napoli. Ritieni, tra gli autori della ricerca che ha messo a punto il metodo di analisi che consente di scoprire tracce anche minime di farmaci nel latte, ha spiegato come il lavoro dei ricercatori sia anche quello di “mettere a disposizione della comunità un’analisi che unisce alla sua rapidità, alla praticità, l’efficacia e la robustezza e la sua riproducibilità”. Esattamente quello che il metodo oggi consente a tutti, autorità pubbliche e produttori. Insomma da oggi non si potrà più dire “Non sapevamo” e di certo non si potrà far finta di nulla di fronte a un rischio potenziale che nessuno è in grado di escludere.