Mentre negli Usa il triste contatore di decessi dopo lo svapo per complicazioni polmonari è arrivato a sette, l’Europa deve affrontare la bufera sul settore con una falla legislativa pesante, che ha quasi dell’incredibile: nonostante le ripetute rassicurazioni su un sistema più efficace, il vecchio continente non dispone ad oggi di una lista di sostanze vietate per produrre liquidi e aromi per sigarette elettroniche da usare senza nicotina. E anche la lista comune delle sostanze proibite per i prodotti da tabacco con nicotina è ferma al 2014, anno in cui è stata approvata la direttiva europea 2014/40 conosciuta come Tobacco product directive (Tpd), riconosciuta due anni dopo dall’Italia.
La black list vale solo per i prodotti con nicotina
Emanuele Ferri, Ceo di Trusticert, che si occupa di valutare la conformità per liquidi e sigarette elettroniche alle aziende, racconta al Salvagente le criticità di un sistema che lui conosce molto bene: “In Europa la direttiva disciplina solo i prodotti con nicotina. Stiamo assistendo in questi ultimi due anni a una deviazione dei prodotti verso ‘non nicotina’, proprio perché le aziende si sono rese conto che la direttiva europea ha una sorta di falla tecnica, per cui questi prodotti non hanno ancora una norma specifica”. Va detto che esistono norme trasversali che proteggono la salute dei consumatori: un’azienda non si può inventare un prodotto nocivo solo perché non ci sono norme specifiche. Tuttavia non c’è un riferimento normativo specifico che vieta a un produttore di liquidi senza nicotina di inserire un composto che potrebbe rappresentare un rischio per la salute. “E qui si apre un capitolo estremamente complesso – spiega Ferri – che è quello della tossicologia inalatoria, dove purtroppo non ci sono a disposizione da parte della comunità scientifica per l’industria sufficienti dati. I consumatori di fatto negli ultimi anni hanno iniziato a inalare sostanze che fino a ieri erano considerate sicure per l’industria alimentare, che possono godere di fondamenta scientifiche molto robuste, in base a decenni di studi.
Sostanza cancerogene (e i paesi si muovono in ordine sparso)
L’esperto fa un esempio molto chiaro al Salvagente: “La black list vieta sostanze come le cmr, una categoria molto ampia di sostanze che possono avere caratteristiche mutagene, cancerogene o tossiche per il feto per usi continuativi, ma i prodotti senza nicotina possono contenerle” anche perché nell’industria alimentare sono consentite entro certi limiti. Alcuni stati membri hanno equiparato i prodotti da vaping senza nicotina ai prodotti da vaping con nicotina: Austria, Repubblica Ceca, Estonia, Grecia, Lussemburg e Olanda. Altri hanno implementato la black list specifica per i prodotti liquidi da vaping con ulteriori sostanze: Gran Bretagna, Germania e Ungheria.
Il caso diacetile
Entrambe le azioni potrebbero essere compiute anche dall’Italia, che invece finora rimane ferma sulla direttiva tpd. “Un altro caso emblematico – aggiunge Ferri – riguarda il diacetile, una sostanza vietata dal Regno Uniti, ma non da tutti gli altri”. Usata per dare il caratteristico sapore di burro, è stata identificata come dannosa per i polmoni in seguito a patologie sviluppare da lavoratori americani che la inalavano per aggiungerla ai popcorn. Perché il diacetile non è vietato in tutta Europa negli aromi per svapo? “Parliamo di migliaia di ingredienti, il lavoro per il legislatore è gravosissimo e per di più non armonizzato tra un paese e l’altro” spiega Ferri, secondo cui la cosa più grave l’assenza di armonizzazione dei controlli a livello europeo: “Ci sono degli strumenti istituzionali che consentono agli organi di controllo di monitorare e segnalare in direzione gerarchica tutti i casi di intossicazione. Diversi portali, il più importante è il rapex, tramite cui un’autorità nazionale segnala il caso in maniera che tutti gli stati, i consumatori e i portatori di interesse possano accorgersi di questa segnalazione. Ma la black list non è armonizzata con queste segnalazioni”.
La sicurezza dei dispositivi, altra terra di nessuno
C’è poi la questione relativa alla sicurezza delle sigarette elettroniche. Dalle ricerche della comunità scientifica internazionale emerge che la maggior parte di pericolosità di questi prodotti, dipende in larga parte dalla sigarette elettronica, più che dai liquidi. “Tutti i liquidi sono a base di glicole propilenico e glicerina vegetale, base per consentire allo strumento di veicolare le sostanze. Il punto è che questi due ingredienti in forma liquida e a temperatura ambiente non rappresentano alcun pericolo per la salute, ma se riscaldati sopra una certa temperatura, 200 gradi per il glicole, 280 per la glicerina, degradano, vanno incontro a un processo che si chiama pirolisi e formano specie chimiche tossiche” spiega Ferri, “Se l’e-cig è regolato per raggiungere queste temperature, produrrà sempre una base costante di sostanze tossiche”.
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In attesa di norme più precise
Ma in Europa la normativa non parla di livelli massimi di temperatura, livelli minimi di resistenza o di materiali che vanno bene. C’è una libertà totale da questo punto di vista. E quindi c’è la possibilità che un produttore realizzi un prodotto a norma che permetta al consumatore di utilizzarlo in condizioni di “non sicurezza ideale”. Adesso il settore attende, presumibilmente per il 2021, una nuova tpd 3, che dovrebbe inserire questi aggiornamenti. Di fronte a queste criticità , in Europa, la legge non impone al produttore di certificare il prodotto corrisponde, ma si basa solo sull’autocertificazione. “La tpd dichiara che la sigarette elettronica deve essere sicura per i bambini, ma non esiste una norma tecnica che dice come stabilirlo” dice a mo’ di esempio l’esperto che sottolinea come non esista ancora uno standard europeo maturo.
Il sistema di verifica più debole rispetto agli Usa
Negli Usa la Fda deve verificare e autorizzare ogni singolo prodotto, ma tutti i produttori devono sottoporre un dossier che dimostra che questi prodotti non rappresentano un rischio per la salute. Si tratta di un documento (Pmta) è talmente impegnativo che costa uno, due milioni di dollari per prodotto, “mentre in Europa il produttore se la cava con qualche migliaia di euro per prodotto”. La differenza fondamentale è che negli Stati Uniti, la Fda (Autorità di sicurezza alimentare e sanitaria) ha il compito di verificare e autorizzare nuove e-cig, mentre in Europa l’Autorità sanitaria può solo vietarle. Basta che a sei mesi dalla presentazione della documentazione (più semplificata rispetto agli Usa), non arrivi uno stop, perché il prodotto venga messo in commercio. Secondo Ferri, tirando le somme, però “Va fatto un plauso all’Unione Europea che è stata la prima a muoversi sull’argomento, anche rischiando errori, ma oggi va detto che la direttiva Ue è immatura per i tempi e va aggiornata”.