Dopo il grosso allarme sollevato dalla diffusione della listeriosi in Spagna, che è costato un morto e centinaia di persone ricoverate, il ministro della sanità spagnola, María Luisa Carcedo, ha ammesso in Parlamento che “c’è stata una catena di errori e responsabilità accumulati”. Le parole sono state pronunciate durante la relazione sulla gestione del governo spagnolo nella crisi causata dalla carne contaminata prodotta in Andalusia dall’azienda Magrudis. Come riporta El Pais, Carcedo ha difeso il corretto funzionamento del sistema di allerta sanitaria per trasferire i dati e le notizie sulla listeriosi alle diverse comunità autonome, ma ha riconosciuto che i diversi errori durante queste settimane causate dal mancanza di collaborazione da parte di Magrudis.
La dinamica
Una circostanza che ha costretto la città di Siviglia e la Junta de Andalucía a sporgere denuncia presso la procura. Carcedo ha anche sottolineato che la comunicazione con il governo dell’Andalusia, la comunità di riferimento e la più colpita, è migliorata mentre l’epidemia veniva controllata. Ha anche rivelato che il suo dipartimento aveva suggerito all’esecutivo andaluso di espandere l’allerta alimentare su altri prodotti di Magrudis, il produttore del polpettone Mecha, responsabile dell’infezione.
Nuove regole
Nel loro secondo incontro da quando è stato attivato l’allerta sanitaria, il governo andaluso e il Consiglio comunale di Siviglia hanno cercato di ridurre la tensione generata dalla gestione della crisi nello scoppio della listeriosi. Tra gli accordi, la creazione di un gruppo di lavoro in cui sarà inclusa la Federazione andalusa di comuni e province e i concistori di Malaga e Granada per stabilire le modifiche legislative necessarie per aumentare i sistemi di controllo preventivo soprattutto nelle industrie e negli stabilimenti la cui attività può rappresentare un rischio per la popolazione.
Il paragone con il caso dei frutti di bosco all’epatite in Italia
Di fronte alla relazione dettagliata del ministro della Salute spagnolo viene un po’ di invidia, considerando la reticenza delle nostre istituzioni di fronte a epidemie analoghe, come quella dei frutti di bosco contaminati da epatite A, nel 2013, che mandò centinaia di italiani all’ospedale.
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