Di sentenza in sentenza, la battaglia del panino a scuola si trascina da anni. L’ultima parola l’ha scritta la Cassazione che ha smentito il Consiglio di Stato, affermando che non esiste un diritto soggettivo a far mangiare ai propri figli a mensa un pasto portato da casa. Le sezioni unite la gestione del servizio mensa rientra nell’autonomia organizzativa delle scuole e le famiglie che non vogliono usufruirne sono sempre libere di portare a casa i figli e riportarli a scuola dopo pranzo.
Al di là della cronaca di quanto accade nei tribunali, però, c’è da chiedersi i pro e i contro di una decisione – quella di non far servire i piatti decisi dalle singole amministrazioni comunali per le scuole – che spesso divide i genitori.
“Stanchi di chi risana le casse così”
Giorgio Vecchione, avvocato torinese, è il legale delle 58 famiglie che hanno iniziato la battaglia per il pasto da casa e anche di tutti gli altri genitori che non solo a Torino ma da Milano, Lucca, Cagliari, Genova lo hanno contattato per ottenere lo stesso diritto, così lo definiscono. “Non si tratta di bimbi viziati figli di genitori benestanti – ci tiene a sottolineare – ma di persone che erano stanche di far mangiare male i loro bambini a costi troppo elevati: 1.400 euro la tariffa annuale piena e 300 euro la quota di iscrizione al servizio”. Inaccettabile per le famiglie, soprattutto se al caro mensa si associa la scarsa qualità.
“La questione della democrazia della mensa collettiva non regge: una cosa è l’equità altra cosa è l’uguaglianza; se poi ci vogliono tutti omologati il discorso è un altro” ci dice.
Questa vittoria, per Vecchione, tuttavia, non significa aver rinunciato alla mensa per sempre: “Siamo disposti a partecipare alla stesura dei capitolati del nuovo bando perché siamo stanchi di verificare che molte città risanano i proprio bilanci utilizzando le mense scolastiche…”.
“Un ritorno alle caste”
“Sono un irriducibile difensore della mensa comune”. È così che si definisce Luigi Guerra, direttore del dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna, che non ha dubbi sul valore del tempo del pasto a scuola. “Capisco i disagi legati alla qualità delle pietanze, i problemi causati da certe diete non ben equilibrate. Comprendo tutte le perplessità, ma difendo il ruolo della mensa come fatto collettivo, uguale per tutti, su cui si possono costruire progetti educativi e pedagogici per rendere più consapevoli i bambini. E – aggiunge – rifiuto l’eventualità del pasto da casa per più ordini di problemi: quello igienico-sanitario, in primis, ma non solo: con il pasto da casa si intraprende la strada che porta verso un individualismo sfrenato”.
Importante, per il pedagogista, proseguire col confronto con le famiglie e trovare, da parte dei dietologi, anche una via di mezzo tra ciò che fa bene per la salute e la crescita dei bambini e il loro gusto.