Mentre da un lato dell’oceano, quello americano, fa discutere il nuovo scandalo farmaci, con 40 Stati che hanno fatto causa a 20 case farmaceutiche, perché, secondo le accuse, si sarebbero messe d’accordo per far aumentare i prezzi dei farmaci generici, anche del 1000%, da questa parte a finire sotto accusa è la scarsa trasparenza dell’origine delle materie prime. Un velo che impedisce a medici e farmacisti di consigliare i pazienti quando pure scoppiano allerta come quello del Valsartan, l’antipertensivo finito al centro di scandali e ritiri dopo che si è scoperto che un degli ingredienti, prodotto in Cina, conteneva contaminanti cancerogeni.
La richiesta, chiara, viene dalla Svizzera, rilanciata dal canale dei consumatori Srf Espresso. “Sul tessile e sull’alimentare oramai c’è scritto quasi ovunque dove è stato prodotto ciò che acquistiamo, sui farmaci questo non avviene mai”, dice un farmacista alla rivista. Per lui, una dichiarazione di origine, riportata chiaramente sulla confezione o sul foglio illustrativo, potrebbe essere utile.
Come il farmacista, l’Associazione dei pazienti svizzeri, quella dei consumatori e alcuni politici, hanno richiesto una dichiarazione di origine per i farmaci.
Molti degli ingredienti delle medicine che si consumano – e non solo in Svizzera – vengono da paesi come la Cina o l’India. In particolare, i generici sono “prodotti per la maggior parte” lì, come ha ammesso l’associazione di settore “Intergenerika” a SRF “Espresso”.
Perché non c’è scritto allora “Made in China” o “Made in India” sulla confezione? Semplicemente perché non è obbligatorio.
Tuttavia, l’industria potrebbe volontariamente fare un passo e richiedere una dichiarazione di origine. Cosa tutt’altro che probabile, visto che, come dice Anita Geiger, portavoce dell’associazione “Interpharma”: “L’attenzione si concentra sul successo terapeutico per il paziente”.
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I fautori di una dichiarazione di origine affermano, tuttavia, che in questo modo ci sarebbe molta più fiducia da parte dei pazienti nel settore farmaceutico, e più pressione sul settore per evitare discutibili siti di produzione a basso costo in paesi con scarsi controlli.