Ceta, via libera all’arbitrato: una multinazionale potrà far causa a uno Stato

La Corte di giustizia europea ha oggi dato il via libera al sistema stragiudiziale Isds uno dei più controversi aspetti del Ceta, l’accordo di libero scambio tra Ue e Canada: in caso di controversia una multinazionale potrà chiamare in causa uno Stato membro non presso un tribunale ordinario ma dinanzi a un abritrato, una sorta di “corte” privata prevista dallo stesso Ceta.

Secondo il parere diffuso oggi dalla Corte di Strasburgo, la procedura di risoluzione delle controversie fra investitori e Stati prevista dall’accordo è compatibile col diritto dell’Unione. Si tratta in sostanza di un meccanismo di risoluzione delle controversie – l’Investment court system, Ics – che permette alle aziende e alle multinazionali di fare causa agli Stati davanti a un tribunale arbitrale.

A settembre del 2017 il Belgio ha chiesto il parere della Corte di giustizia sulla compatibilità di tale procedura di risoluzione delle controversie con il diritto primario dell’Unione, esprimendo di fatto dubbi sugli effetti della procedura in relazione alla competenza esclusiva della Corte nell’interpretare il diritto della Ue e sull’autonomia dell’ordinamento giuridico europeo. Nel parere espresso oggi, la Corte di Giustizia di fatto dà via libera all’arbitrato.

Di Sisto “Una minaccia per la democrazia e per l’ambiente”

Netta e preoccupata la presa di posizione del comitato Stop Ttip/Stop Ceta: “La sentenza legittima un sistema controverso, che consente alle multinazionali di fare causa agli Stati per scoraggiare l’approvazione di leggi che minacciano i loro profitti. Qualunque norma – anche se varata per proteggere l’interesse pubblico o l’ambiente – sarà impugnabile in opachi tribunali, che prestano il fianco a gravi conflitti di interessi”.

“Si tratta di un meccanismo costruito su misura per gli investitori esteri, a scapito della sovranità degli Stati e dei diritti dei cittadini – dichiara Monica Di Sisto, portavoce della campagna Stop Ceta, coalizione di 200 organizzazioni – Abbiamo dimostrato nel recente rapporto “Diritti per le persone, regole per le multinazionali: Stop ISDS”, che la creazione di Corte per gli investimenti inserita nel Ceta su proposta della Commissione europea rappresenta una minaccia per la democrazia e l’ambiente e chiediamo che il Parlamento si attivi immediatamente per bocciare il trattato in blocco, così da aprire in tutta Europa un fronte critico verso il commercio senza regole e senza rispetto dei diritti”. L’arbitrato internazionale, prosegue Di Sisto, è diventato “una macchina da soldi che ci autoalimenta grazie al conflitto di interessi”, in cui gli avvocati sono pagati a chiamata e possono approvare richieste di indennizzo imponenti da parte delle imprese. “Rifiutiamo il principio stesso di un tribunale sovranazionale, che consente agli investitori esteri, e soltanto a loro, di aggirare le giurisdizioni nazionali ed europee per contrastare una decisione pubblica che non rispecchia le loro aspettative di profitto”.

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I casi di arbitrato vinti dalle imprese

Negli ultimi trent’anni, in tutto il mondo, gli Stati hanno già dovuto pagare 84,4 miliardi di dollari alle imprese private a seguito di sentenze sfavorevoli (67,5 miliardi) o costosi patteggiamenti (16,9 miliardi). Le compagnie possono citare in giudizio gli Stati per nuove politiche ambientali (è accaduto in Canada), per provvedimenti che limitano la presenza di zucchero nelle bevande (due colossi del food americano contro il Messico), per quelli che aggiornano il packaging dei pacchetti di sigarette (le major del tabacco contro Uruguay e Australia). In Italia ad esempio si segnala il caso delle trivelle: la causa più pesante è stata intentata dalla compagnia petrolifera britannica Rockhopper nel 2017 con la richiesta di 350 milioni di dollari in compensazioni per aver subito il no al rinnovo della concessione per la piattaforma Ombrina Mare, che voleva cercare petrolio nell’Adriatico abruzzese entro le 12 miglia marine. L’arbitrato, denunciano dalla campagna, rappresenta “un’arma delle multinazionali contro l’ambiente e la sovranità degli stati”.