
Da quando, un anno fa, la Cina ha deciso il bando all’importazione di rifiuti in plastica il sistema di riciclo della plastica su scala globale è andato in tilt. E questi rifiuti hanno iniziato a percorrere altre strade, soprattutto verso nuovi Paesi, principalmente del Sud-est asiatico e non dotati di regolamentazioni ambientali rigorose. Nuove rotte battute anche dai rifiuti provenienti dall’Italia, che risulta tra i principali esportatori mondiali.
È uno dei dati testimoniati dal rapporto “Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica”, diffuso oggi da Greenpeace, in cui viene effettuata un’analisi del commercio mondiale dei rifiuti in plastica, relativa ai 21 maggiori Paesi esportatori e ai 21 maggiori importatori nel periodo compreso tra gennaio 2016 e novembre 2018. Il report, oltre ad analizzare le esportazioni e le importazioni di materie plastiche riconducibili al codice doganale 3915 (scarti di lavorazione, cascami, rifiuti industriali e avanzi di materie plastiche), evidenzia le nuove rotte globali conseguenti al bando cinese all’importazione con un focus specifico sulla situazione italiana.
“Nel 2018 la Cina ha cambiato politiche sull’import di rifiuti in plastica e ciò ha svelato la crisi del sistema di riciclo globale. Riciclare non è la soluzione, sono necessari interventi che riducano subito la produzione, soprattutto per quella frazione di plastica spesso inutile e superflua rappresentata dall’usa e getta che oggi costituisce il 40 per cento della produzione globale di plastica” dichiara Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.


“Non si deve dimenticare che prima di esportare un rifiuto lo si deve sottoporre a un dato trattamento, e soprattutto si deve avere contezza del tipo di trattamento cui sarà sottoposto una volta giunto nel Paese di esportazione”, commenta Roberto Pennisi, Sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia. “In assenza di questi due requisiti, qualunque esportazione è da considerarsi illegale.
Da quando il governo di Pechino ha imposto il diktat all’import, si sta inoltre diffondendo un recente fenomeno tutto europeo. “Si tratta di un fenomeno di export via terra verso altri Paesi europei, magari Stati entrati da poco in Unione, dove i controlli sono meno accurati e si privilegia l’interesse economico al rispetto della legalità, dell’ambiente e della salute umana», precisa Pennisi.










