Il TAR Lazio dà torto ad Airbnb: dovrà riscuotere la cedolare secca sulle locazioni brevi che si concludono sulla sua piattaforma.
È un primo punto (non definitivo, dato che già si parla di un ricorso al Consiglio di Stato) a favore dell’applicazione del decreto legge n. 50 del 2017 (governo Gentiloni) che ha introdotto la cedolare secca al 21% anche per gli affitti brevi o di locazione turistica, quelli inferiori ai 30 giorni per intenderci.
Fin dall’entrata in vigore della legge, Airbnb si è rifiutata di riscuotere e poi versare al fisco la tassa, nonché comunicare all’Agenzia delle Entrate i nomi dei locatari e i relativi redditi, sostenendo che non gli compete questo ruolo da “sostituto d’imposta” e che ci sarebbero comunque dei problemi in tema di privacy.
Peccato che il Tar la pensi diversamente: la legge fa riferimento esplicito agli “intermediari immobiliari”, agenzie e portali on line compresi proprio come Airbnb e Booking. E così, con la sentenza n. 2207/2019, i giudici amministrativi chiedono ora la rigorosa applicazione della legge.
Ma quanto non ha incassato lo Stato in tutto questo tempo a causa dell’inattività di Airbnb? Federalberghi ha fatto due conti: in base ai ricavi del 2016, non sarebbero stati versati circa 130 milioni di euro. Ma “considerando che nel frattempo il numero di annunci pubblicato sul portale è cresciuto a dismisura (222.787 ad agosto 2016, 397.314 ad agosto 2018), si può stimare che nei primi diciotto mesi di (mancata) applicazione dell’imposta, Airbnb abbia omesso il versamento di più di 250 milioni di euro”.