
A Taranto, tra l’inquinamento dell’Ilva e la presenza della diossina, l’allarme sanitario attorno alle pregiate “pelose” resta alto. Il contenuto di diossina e Pcb come sommatoria nelle cozze allevate nel primo seno del Mar Piccolo è pari a 16,618 picogrammi per grammo di prodotto fresco (pg/gr) secondo le analisi eseguite dalla Asl a giugno scorso, una concentrazione quasi tre volte più elevata al limite di legge che il Regolamento Ue 1259/2011 fissa a 6,5 pg/gr. Un dato elevatissimo che non trova riscontro nei principali mari dove vengono allevate le cozze in Italia come ha rilevato il test del Salvagente pubblicato nel nuovo numero in edicola: se il range rilevato dalla Asl a Taranto tra Mar Grande e nel Mar Piccolo a giugno va da 4,9 a 16,6 pg/gr, i dati da noi raccolti nelle cozze allevate in due siti in Sardegna vanno 0,4 a 0,53 pg/gr, mentre in Adriatico (tra Ferrara e Goro) si scende da 0,2 a 0,4.
I numeri della contaminazione
A pubblicare i dati choc rilevati dalle autorità sanitarie tarantine è stata ancora una volta l’associazione eco-pacifista Peacelink che con le analisi sulle cozze tarantine nel lontano 2011 fecero scoppiare il caso-Ilva. Spiega Luciano Manna: “I dati della Asl di Taranto aggiornati al 2018 ci consegnano valori preoccupanti con risultati più elevati rispetto a quelli storici rilevati dopo il 2011. I risultati delle analisi relativi ai mesi del 2018 sono più elevati del triennio 2015/2017 se compariamo i dati di ogni mese in relazione a quelli degli stessi mesi del triennio scorso. Questo è un chiaro risultato frutto del bio-accumulo di diossine e pcb che in questi anni ha interessato l’eco-sistema dove vengono allevati i mitili di Taranto: nel Mar Grande e nel Mar Piccolo”.
I numeri parlano chiaro e se confrontiamo quelli rilevati nel primo seno del Mar Piccolo (16,618 pg/gr giugno 2018; 14,881 giugno 2017; 11,453 giugno 2016; 16,186 giugno 2015), c’è da chiedersi come mai non venga vietato alcun tipo di allevamento in questo braccio di mare, dove invece è in vigore una sola restrizione fino al 31 marzo, tra l’altro insufficiente a garantire i consumatori come ha denunciato l’inchiesta del portale VeraLeaks, nato come costola e supportato da Peacelink.
Un’emergenza sottovaluttata
Se nel primo seno l’allarme resta elevato e ci sarebbero tutti le condizioni per far scattare un’allerta sanitaria – “Il primo seno del Mar Piccolo va completamente sgomberato dall’illecito con ‘tolleranza zero’, senza deroghe e va sottoposto all’immediata bonifica“, accusa Peacelink – qual è la situazione rilevata dalla Asl nel secondo seno e nel Mar Grande? Per il secondo seno a giugno 2018 la concentrazione era di 2,085 pg/gr, mentre nel Mar Grande la Asl ha certificato nello stesso mese una concentrazione pari a 4,938. Dati sotto il limite di lgge ma comunque molto elevati se pensiamo che il nostro test ha rilevato nelle cozze testate per Olbia 0,53; ad Oristano 0,4; a Ferrara 0,251 e nell’Alto Adriatico 0,471.
Da dove nasce la contaminazione
È lecito chiedersi da dove nasce il problema. Nonostante le evidenze, ancora non è stato accertato il nesso di causalità tra la contaminazione del golfo di Taranto e l’inquinamento prodotto dall’Ilva. Per approfondire abbiamo chiesto aiuto ad Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, che in un’intervista pubblicata nel numero in edicola ci spiega: “Secondo la tesi della Procura di Taranto la cattiva gestione degli elettrofiltri dell’impianto di agglomerazione è la principale responsabile della produzione di diossina. La proprietà nega, tuttavia è naturale che le polveri e gli inquinanti più tossici che da lì nascono, con il vento e con il dilavamento, finiscano anche in mare”.












