Dagli Stati Uniti arrivo uno studio dell’American College of Physicians (Acp) che mette in discussione le linee guida sui livelli di zucchero presente nel sangue per malati di diabete di tipo 2. Come riporta ConsumerReports, secondo l’Acp, infatti, la maggior parte delle persone con questo tipo di diabete non dovrebbe scendere al di sotto del 7% sul test HbA1c, che misura il controllo a lungo termine della glicemia. Negli Usa, come in Italia, invece i medici consigliano di stare sotto quella soglia. Lottare per un HbA1c di 6.5, può richiedere alte dosi in più farmaci. (Normale è inferiore a 5,7, mentre da 5,7 a 6,4 è considerato prediabete e qualsiasi cosa più alta è il diabete).
I rischi di un livello troppo basso
Ma quando l’Acp ha analizzato le prove dietro le linee guida stilate dall’American diabetes association, ha scoperto che portare i livelli di zucchero nel sangue tra 7 e 8 era sufficiente a ridurre i rischi delle principali complicazioni del diabete come infarto, ictus e danni a occhi, nervi, reni, e piedi. “Andare più in basso di così non ha fornito ulteriori vantaggi e, in effetti, in alcuni casi ha causato danni a causa di un abbassamento eccessivo dello zucchero nel sangue”, spiega Jack Ende, M.D., presidente dell’ACP. Le prove suggerivano che un controllo così stretto del glucosio nel sangue sembrava portare a tassi molto più alti di ipoglicemia e ospedalizzazioni conseguenti. “Sulla base delle nostre analisi, abbiamo ritenuto che le prove mostrassero che scendere al di sotto del 7% non riduceva le morti o le complicanze macrovascolari come infarto o ictus, ma causava danni come un basso livello di zucchero nel sangue”, afferma Ende.
La posizione dei diabetologi italiani
Il Salvagente ha chiesto un parere sulla posizione di Acp al dottor Basilio Pintaudi, referente Associazione medici diabetologici per gli Standard di Cura AMD-SID: “L’attuale raccomandazione italiana (Standard Italiani per la cura del diabete mellito SID-AMD), elaborata nel 2016, prevede che il trattamento del diabete di tipo 2 debba porsi un obiettivo di emoglobina glicata (HbA1c) inferiore a 53 mmol/mol (7,0%). Ciò al fine soprattutto di prevenire l’incidenza e la progressione delle complicanze legate alla malattia. Vi sono comunque alcune condizioni in cui tale limite può considerarsi variabile“. Obiettivi più stringenti, uguali e inferiori al 6,5%, secondo Pintaudi, “dovrebbero essere perseguiti in pazienti di nuova diagnosi o con diabete di breve durata, senza precedenti di malattie cardiovascolari, abitualmente in discreto compenso glicemico e senza comorbilità che li rendano particolarmente fragili”. Mentre può bastare mantenersi entro l’8% per “pazienti con diabete di più lunga durata, soprattutto con precedenti di malattie cardiovascolari o una lunga storia di inadeguato compenso glicemico o fragili per età e/o comorbilità”.
Anche da noi revisioni in corso
Secondo l’esperto dell’Amd, un’altra variabile molto importante nella determinazione dell’obiettivo di HbA1c risulta essere l’utilizzo o meno di farmaci che possono causare ipoglicemia, di per sé associata ad un maggior rischio di sviluppo di complicanze di tipo cardiaco. La versione 2018 degli standard di cura, attualmente in fase di ultima revisione, è orientata a tenere in maggiore considerazione la possibilità di applicazione di livelli flessibili di HbA1c non solo su parametri clinici propri del paziente ma anche sul grado di aggressività terapeutica. Quest’ultimo aspetto si integra molto bene, non differenziandosi significativamente, con le recenti conclusioni dell’Acp, derivanti da revisione sistematica delle linee guida esistenti. Studi clinici mirati a definire univocamente questo delicato aspetto della gestione clinica dei pazienti con diabete di tipo 2 sono auspicabili nel prossimo futuro.”
Molto meglio puntare sullo stile di vita
Indipendentemente dal fatto che usi o meno farmaci antidiabetici, è importante concentrarsi sui cambiamenti dello stile di vita, anche se il livello di zucchero nel sangue è sotto controllo. “Molte volte, il diabete di tipo 2 può essere completamente invertito raggiungendo un peso normale”, afferma Michael Hochman, MD, MPH, assistente professore di medicina clinica presso la Keck School of Medicine della University of Southern California e direttore dell’USC Centro famigliare di Gehr per la scienza dei sistemi sanitari. Uno studio pubblicato sulla rivista medica The Lancet lo scorso dicembre, ad esempio, ha rilevato che circa la metà delle persone con diabete di tipo 2 sottoposte a un intenso programma di gestione del peso è andata in completa remissione.
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