Alcune specie ittiche pesce catturate nelle acque interne del Veneto non potranno più essere consumate. La misura è stata concordata tra la Regione Veneto e l’Istituto superiore di sanità a causa degli alti livelli di contaminazione da sostanze tossiche Pfas riscontrati in tali specie ittiche. Annunciandolo in audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta, la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin ha confermato la rilevazione di livelli «allarmanti» di contaminazione da Pfas nei “campioni di alcune specie ittiche raccolte nelle acque interne del Veneto”. In base a tali riscontri, l’Iss ha concordato con la Regione “alcune misure di natura precauzionale quali il divieto di consumo del pesce di cattura nelle aree interessate”. Secondo il ministro non ci sono, invece, problemi di contaminazione degli alimenti: le analisi effettuate su 1.100 prodotti alimentari di origine animale e vegetale provenienti da allevamenti e coltivazioni nelle aree interessate hanno dato esito negativo.
Concentrazioni in calo
L’inquinamento di Pfas in Veneto è stato scoperto nel 2013 quando sono arrivati i dati “bomba” del Cnr che lo svelavano in tutta la sua entità: le analisi avevano rilevato concentrazioni di Pfoa fino a 2000 ng/l nella zona di Trissino (Vicenza) nel bacino di Fratta Maggiore mentre un decreto del ministero della Salute del 2004 fissa i limiti a 500 ng/l. È l’epilogo, impressionante, di una storia lunga, quella della fabbrica Miteni di Trissino, che per oltre trent’anni ha sversato nei fiumi del paese vicentino i residui della lavorazione di pentole antiaderenti, Goretex e carta da forno. Oggi, i livelli risultano più bassi ma comunque vanno costantemente tenuti sotto osservazione.
Il Piano di sorveglianza funziona
Lorenzin ha ricordato come allo stato i valori per le sostanze inquinanti delle acque Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) in Veneto, in particolare Pfos e Pfoa, “si considerano ridotti di circa un ordine di grandezza, e cioè risultano circa 10 volte inferiori rispetto ai valori massimi di performance già indicati dall’Istituto superiore di sanità Iss con un parere iniziale del 2014”. Lo stesso istituto ha avviato un monitoraggio della situazione già dal 2013, provvedendo ad una “drastica riduzione dell’esposizione a Pfas, secondo un principio di precauzione, ad esempio attraverso l’adozione urgente di approvvigionamenti alternativi di acqua e piani di sicurezza delle acque”.