Terza puntata dei Miti Alimentari dedicata ai detti popolari. È sempre saggezza come siamo portati a pensare? Ne abbiamo scelti 7 che hanno più di una ragione per essere considerati veri
Grasso e magro non del tutto, ecco il pregio del prosciutto
VERO Gli eccessi sia nella direzione del troppo grasso che del troppo magro sono da considerarsi degli errori dal punto di vista nutrizionale. Come è ben noto, troppi grassi sono un pericolo per il nostro sistema cardiovascolare, ma anche non mangiare grassi non rappresenta la scelta ottimale. Una quota di grassi introdotti con la dieta ci occorre per il funzionamento delle membrane cellulari, per la produzione di ormoni etc. e per avere energia. Nel caso del prosciutto, specie quello crudo, l’abitudine di far completamente eliminare il grasso dal salumiere non rappresenta la scelta migliore perché in questo modo si perdono buona parte le molecole che danno sapore al prosciutto e, comunque, viene meno la quota di grassi saturi da introdurre giornalmente. Come sempre la giusta scelta è nel mezzo.
Chi impasta senza fretta la farina fa la pasta più gustosa e fina
VERO La base dei prodotti di qualità da forno come torte, pizza, biscotti etc., nonché per la pasta fresca o secca etc. è nell’impasto. Un esempio generale viene dalla pizza napoletana che è nota a livello mondiale ed è ambasciatrice del nostro paese, ma che nella sua apparente semplicità contiene più di una possibile trappola. Senza soffermarci sulla qualità delle materie prime da usare (pomodoro, farina, olio e quant’altro) o sulla cottura più o meno idonea (temperatura del forno, tempo di cottura etc.) il punto critico è la lavorazione dell’impasto. Le farine sono diverse per caratteristiche, ma in ogni caso è importante lavorarle bene per creare la migliore rete col glutine che darà struttura e forza all’impasto finale. Se l’impasto è lavorato con calma, incorporerà acqua e aria in maniera ottimale facendo così funzionare al meglio i lieviti per dare vita a un impasto leggero e alveolato. Un panetto di pizza così fatto, con amore e tempo, originerà una pizza leggera che non vi accompagnerà a letto nei vostri sogni, ma vi lascerà il ricordo di una serata fantastica.
Se la carne è cotta in fretta buona parte se ne getta
VERO In effetti la cottura della carne richiede tanta attenzione e il giusto tempo in funzione del taglio e del tipo di cottura scelta (brasato, lesso, arrosto etc). Cercare di accelerare la sua cottura usando la fiamma viva, oppure aumentando la temperatura del forno quasi certamente condurrà ad un solo risultato: carne troppo cotta all’esterno e cruda o quasi all’interno. In questo caso lo spreco sarà elevato perché sacrificheremo parte della pietanza sovracotta in favore della parte non affumicata, bruciata o ben cotta. Questo risultato si verifica perché la cottura procede dall’esterno verso il cuore della carne e le temperature alte bruceranno l’esterno del nostro filetto e non raggiungendo la temperatura giusta all’interno del pezzo la renderà poco appetibile nel complesso. Il tempo è il nostro alleato e se volete assaggiare della carne cotta bene basta pensare all’Asado argentina dove è necessario dedicare anche un giorno alla cottura lenta e attenta dei vari tagli di carne.
Spreco in cucina povertà si avvicina
VERO Questo detto non è mai stato così attuale e aderente alla realtà che ora possiamo osservare. Nel passato le massaie sapevano fare tesoro degli avanzi e degli scarti e moltissime ricette sono create con gli avanzi così che una frittata di maccheroni rappresenta al meglio il riutilizzo con la nascita di una vera e propria leccornia. Negli anni, purtroppo questo approccio si è perso e al riutilizzo si è sostituita la parola spreco per cui sono milioni le tonnellate di cibo che vanno spesso in discarica. Lo spreco in cucina era un primo passo verso la povertà perché mancavano le risorse, ma oggi lo spreco è lo stesso un primo passo verso la povertà. Basta considerare che le risorse naturali o solo quelle alimentari che vengono perse in modo irrimediabile, impoveriscono il pianeta che lasceremo alle future generazioni.
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È meglio andare a letto con la fame che cucinare sul rame
VERO Questo detto ricorda la pericolosità di alcuni metalli utilizzati per i tegami e il pentolame. Cucinare nelle pentole di rame può far rilasciare ioni rame dal metallo che ha formato ossido rameico (colore nero) e ossido rameoso (colore rosso scuro). Questa patina protegge il metallo dall’ossidazione, ma è facilmente sciolto con succo di limone o dell’aceto ed essere ingerito. Il rame è metabolicamente molto utile, ma gli eccessi sono immagazzinati nel fegato, nel cuore e nel cervello producendo i radicali liberi che creano danni ossidativi non irrilevanti. Il consiglio è usare saltuariamente tegami in rame non stagnato e solo per cibi non acidi come la polenta oppure per bollire pasta e verdure o per preparazioni veloci che non restano mai a lungo nel tegame. È meglio evitare alimenti all’aceto, pomodori, agrumi ricchi di acidi organici, fare sfumare col vino ad es. il pesce oppure usare del latte che può catturare il rame e poi liberarlo nell’intestino. In conclusione, lasciamo al rame un ruolo più decorativo e se usiamo pentolame in rame che sia almeno stagnato.
Il diavolo fa le pentole e non i coperchi
VERO Questo antico proverbio significava che le astuzie e le malvagità erano il recipiente per contenere le azioni giudicate riprovevoli, ma senza il coperchio per tenerle nascoste per cui tutto veniva a galla. Dal punto di vista degli alimenti chi cucina senza coperchio significa che rinuncia a usare una coppia che lavora spesso in simbiosi. Cucinare senza coperchi comporta la possibilità che il sugo, il brasato etc. possano asciugarsi troppo o addirittura bruciarsi perché non c’è la ricondensa dell’acqua che evapora continuamente e che a lungo andare si esaurisce. Il coperchio aiuta a conservare parte degli aromi che si formano nella cottura e che altrimenti sarebbero persi per la casa. L’odore del ragù di Eduardo è qualcosa di fantastico, ma se da un lato è il naturale richiamo al pranzo, per altri versi parte del tesoro sensoriale è perso nell’aria. In sintesi, il diavolo ovvero il cuoco se usa solo pentole e perde di vista i coperchi, farà un piatto non sempre all’altezza delle aspettative dei commensali.
L’ospite è come il pesce: dopo tre giorni puzza
VERO (ma non per gli amici veri) Il pesce è fra le materie prime una di quelle più delicate e va trattata con cura e attenzione. Comprare un pesce fresco richiede esperienza e occhio, quello del pesce si intende, ma la sua conservazione è comunque limitata. I pesci sono animali a sangue freddo e i loro enzimi sono più attivi alle temperature medie delle acque in cui vivono, che a volte raggiungono anche i 4°. Questo significa che il pesce, anche se è tenuto in frigorifero, si deteriora rapidamente rispetto ad es. alla carne, perché il frigo raffredda a circa 4/6°C quindi la produzione di ammine biogene, fonti del cattivo odore, continua e il loro accumulo origina la “puzza di pesce”. Al mercato il pesce è sempre sul ghiaccio per rallentare questi processi di decomposizione e allungarne la vita commerciale. Gli ospiti, come diceva Plauto nel 200 A.C., dopo i tre giorni canonici di ospitalità diventano fastidiosi, la soluzione può essere ospitare solo amici veri mentre per il pesce metterlo sotto sale oppure congelarlo per bloccarne la sua naturale putrefazione.