Travel risk: letteralmente “rischio del viaggio”. Oggi, in un mondo fortemente colpito da drammatici eventi terroristici e naturali, ci sentiamo tutti un po’ insicuri a viaggiare. E questo vale ancora di più per chi è costretto per lavoro a raggiungere zone del pianeta particolarmente “calde”. Sono i dipendenti – circa 1 milione di persone – delle 30mila aziende italiane che lavorano all’estero, fatturando complessivamente oltre 500 miliardi di euro. Un giro d’affari notevole, al quale le aziende non vogliono rinunciare anche a fronte di un elevato rischio per i propri lavoratori. Il che va bene, a patto però di conciliare il business con questo rischio.
RESPONSABILITÀ PENALI PER I MANAGER CHE NON TUTELANO I DIPENDENTI
Proprio di questo si discuterà domani a Milano nell’ambito di Asis Europe 2017, la rassegna che chiama a confronto i professionisti del settore sicurezza.
L’argomento infatti è delicato e molto attuale, venuto alla ribalta mediatica dopo che, a fine febbraio, la Procura di Roma ha indagato per il reato di “cooperazione colposa nel delitto doloso” i vertici dell’azienda Bonatti di Parma.
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La vicenda risale al luglio di due anni fa, quando 4 tecnici italiani dell’azienda furono rapiti in Libia. Due di loro poi persero la vita. Questo triste fatto di cronaca è il più recente ed eclatante esempio di cosa significhi lavorare in zone ad alto rischio. Ma passerà alla storia soprattutto perché per la prima volta in Italia una Procura ha indagato i vertici dell’azienda individuandone precise responsabilità penali, dato che – secondo la procura – il sequestro e la morte dei due dipendenti si sarebbero potuti evitare se la Bonatti avesse adottato le misure necessarie a garantire la sicurezza dei propri lavoratori. Già mesi prima del sequestro, infatti, il ministero degli Esteri aveva consigliato alle aziende italiane presenti in Libia di alzare il livello di guardia, data la crescente pericolosità del paese. Nonostante ciò, la Bonatti organizzò un trasferimento per i suoi dipendenti su un’auto con autista, e non via nave come richiedeva il protocollo della Farnesina. Come andò a finire, purtroppo, lo sappiamo. Ma ora i manager dell’azienda rischiano il processo.
ROGER WARWICK: “LA SICUREZZA DEI LAVORATORI? UN DOVERE MORALE”
Al dibattito che si svolgerà al Mico di Milano, sui rischi penali e civili per le imprese che lavorano all’estero, interverrà Roger Warwick, Presidente Onorario di Asis Chapter Italy, cui abbiamo chiesto quanto è importante oggi garantire la sicurezza dei lavoratori.
“È importantissimo– ci ha risposto Warwick – per tre motivi: innanzitutto per una questione etica. Proteggere i dipendenti è un dovere morale, così come avere buoni rapporti con loro e le loro famiglie. Poi, c’è il discorso economico: se i dipendenti si sentono sicuri, vanno a lavorare tranquilli e il business ne guadagna. Infine, c’è l’aspetto legale: è la legge che impone di garantire la sicurezza dei dipendenti, anche quando vanno all’estero per lavoro. Violare questi obblighi espone l’azienda a responsabilità penali e civili molto pesanti”.
PAOLA GUERRA ANFOSSI: “LA CONSAPEVOLEZZA DEL RISCHIO È FONDAMENTALE”
Purtroppo, però, c’è ancora molta strada da fare. Ce lo conferma Paola Guerra Anfossi, direttrice della Scuola Etica & Sicurezza dell’Aquila, anche lei relatrice al convegno milanese. “Questo aspetto è ancora trascuratissimo dalle aziende. I manager tendono a sottovalutare il rischio pensando che a loro una cosa del genere non possa mai capitare. C’è quasi un rifiuto psicologico a prendere in considerazione eventi dannosi per i dipendenti. Eppure non bisogna pensare solo agli attentati terroristici, ma anche a più banali episodi di microcriminalità, come il furto o l’aggressione. Ricordiamoci che quando il dipendente è all’estero, l’azienda è responsabile 24 ore su 24, ovvero anche quando il dipendente esce per andare a cena. Quindi, se si trova in un paese non molto sicuro, è bene che l’azienda lo informi sui rischi che può correre e gli insegni a gestire le situazioni di pericolo. ‘Informare e formare’ è un dovere per i manager, ed ‘essere informati e formati’ è un diritto per i lavoratori”.
COSA PREVEDE LA LEGGE
Il decreto legislativo 81 del 2008 individua con chiarezza tutto quello che il datore di lavoro deve compiere in materia di salute e sicurezza. Non adempiere agli obblighi, significa incorrere nel codice penale e in quello civile. Dall’omicidio colposo alle lesioni personali colpose, dalla rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro all’ omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro. Si rischia fino a sette anni di carcere, senza dimenticare ovviamente le responsabilità amministrative previste dal decreto legislativo 231 del 2001: le sanzioni interdittive possono arrivare a fare chiudere un’azienda.
Preparare i propri dipendenti è dunque dovere e necessità dei datori di lavoro. E l’obbligo vale per tutte le imprese – piccole, medie e grandi – che investono all’estero o anche solo in Italia.
Per preparare i lavoratori al travel risk le aziende devono rivolgersi ai professionisti del settore, gli unici in grado di valutare oggettivamente il rischio del Paese in cui si va ad operare, di creare e sviluppare procedure di sicurezza e di formare le maestranze che, come detto, hanno a loro volta il diritto di sapere come comportarsi per salvaguardare la propria incolumità e quella delle persone coinvolte in caso di emergenza.