La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine, la sostanza proteica presente nei cereali come il grano, l’orzo, la segale, l’avena e il farro. Essendo una patologia deve essere diagnosticata da uno specialista (ogni anno sono circa 10mila i nuovi casi accertati) e, a chi ne è affetto, impone una ferrea dieta rigorosamente a base di cibi gluten free. Ne parliamo nel nuovo numero in edicola di Test-Salvagente in cui abbiamo portato in laboratorio 20 marchi di pasta e e confrontato pane, biscotti, plumcake, panatine “tradizionali” con quelli senza glutine per capire che tipo di beneficio nutrizionale (o meno) può esserci nel consumatore non celiaco.
Il consumatore affetto da morbo celiaco è soggetto geneticamente predisposto l’introduzione di alimenti contenenti glutine, quali pasta, pane, biscotti, o anche tracce di farina ricavata da cereali vietati, determina una risposta immunitaria abnorme a livello dell’intestino, da cui consegue un’infiammazione cronica con la scomparsa dei villi intestinali. Molto diverse possono essere quindi le manifestazioni cliniche della celiachia.
I sintomi
I sintomi intestinali sono comuni in bambini che ricevono la diagnosi di celiachia nei primi due anni di vita; i più frequenti sono: arresto della crescita, diarrea cronica, vomito, distensione addominale, debolezza muscolare, anoressia e irritabilità. Tuttavia, con l’aumento dell’età di manifestazione della malattia, e con l’ampio uso di test sierologici di screening, sono stati sempre più frequentemente riconosciuti sintomi che possono coinvolgere quasi tutti gli organi: osteoporosi, infertilità, aborti ripetuti, bassa statura nei ragazzi, anemia, ipoplasia dello smalto dentario, diabete, alopecia, epilessia con calcificazioni cerebrali e il linfoma intestinale. La dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia che garantisce al celiaco un perfetto stato di salute.
In Italia ci sono circa 165mila celiaci secondo la relazione presentata al Parlamento nel 2015 dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, anche se secondo alcune stime l’incidenza riguarderebbe una persona ogni 100-150 persone.
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La sensibilità al glutine
Tuttavia tra “autodiagnosi” frettolose e mode alimentari, negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio boom di cibi gluten free. Il glutine, come spiegano gli esperti, la sostanza che rende “collosa” la pasta e adatta ad essere impastata, è anche una proteina difficile da digerire anche nei soggetti sani mentre, in quelli affetti da morbo celiaco, diventa molto pericolosa.
Tuttavia in questi anni è cresciuta anche la cosiddetta “gluten sensitivity” ovvero una sorta di “allergia” ai prodotti che lo contengono: coloro che ne soffrono sarebbero in rapida crescita. La sensibilità al glutine, come spiega il professor Alessio Fasano direttore del Center for Celiac Resarch al Massachusetts General Hospital della Harvard medical school, in una lunga intervista pubblicata nel numero in edicola, è una “patologia” di cui si sa ancora poco ma anch’essa legata all’ingestione di glutine che provoca disturbi gastrointestinali anche gravi ma senza ledere la mucosa intestinale che caratterizza invece la celiachia.
Le cause principali? Il consumo prolungato di farine raffinate, che contengono meno glutine, ci avrebbe reso più vulnerabili a questa proteina. Ma anche il ricorso massiccio ai miglioratori chimici, gli additivi usati per aiutare a far crescere gli impasti (specialmente di pane e pizza) ridurrebbero il carico tossico del glutine. Lasciando crescere una certa sensibilità al glutine stesso.