Padelle in ceramica o pietra, il rischio dei nanomateriali

Padelle in pietra? Un bluff, come dimostra la puntata di Report in onda questa sera. Solo un maquillage per accontentare gli occhi e ingannare il consumatore.

Eppure i minerali sullo strato dei nostri strumenti quotidiani di cottura non mancano. Silicio, ferro, alluminio, titanio, zolfo. Chi immaginerebbe che assieme al cibo preparato nelle nostre pentole antiaderenti finiscano nei piatti anche minuscole particelle di minerali?

A poco serve prestare attenzione a non sfregare il fondo dello strumento di cottura, questi detriti in ogni caso migrano nei cibi e di lì nel nostro organismo, con effetti tutti da valutare.

Il test sulle antiaderenti

È quanto è emerso dalle analisi condotte da Stefano Montanari nel suo laboratorio Nanodiagnostic di Modena. Risultati che il Test ha pubblicato in esclusiva nel suo primo numero, a maggio del 2015. Da allora le cose non sono cambiate molto e vale la pena ripercorrere quelli che pubblicammo all’epoca.

Lo scienziato, grazie al suo microscopio elettronico, ha passato al setaccio le particelle rinvenute sullo strato di alcune padelle di note marche, simulando il procedimento di cottura dei cibi. E ha misurato quelle che vengono cedute dal contenitore al contenuto, ossia finiscono nelle nostre pietanze. Un lavoro sul quale Montanari insiste da anni. Già in passato, infatti, il ricercatore aveva condotto uno studio su un campione analogo per conto di una catena della grande distribuzione, evidenziando lo stesso fenomeno.
 Il fatto che si tratti di particelle di dimensioni molto piccole non deve ingannare: che siano detriti che non superano i 150 micron, se non addirittura nanoparticelle, inferiori a 0,2 micron, non può tranquillizzare. Al contrario, più sono minuscoli questi minerali più hanno la capacità di superare le barriere del nostro organismo. I più piccoli potrebbero insinuarsi perfino nel Dna.

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Sulla pericolosità per la salute dell’uomo delle nanoparticelle il dibattito è solo all’inizio. Da una parte c’è l’industria che investe cifre da capogiro in questa tecnologia, oramai utilizzata negli alimenti, nei cosmetici, ma anche nascosta nei prodotti per la casa, nei peluche e negli attrezzi da cucina (a volte dichiarata, a volte impossibile da scoprire al solo esame delle confezioni). Dall’altra chi denuncia i possibili effetti sulla salute dei consumatori di un fenomeno fuori controllo, le cui conseguenze diverranno chiare solo tra anni, quando sarà probabilmente troppo tardi.

Il dottor Montanari non ha dubbi: quelle particelle, indipendentemente dalla loro composizione, vengono riconosciute dal nostro organismo come corpi estranei e in quanto tali, con il passar del tempo, possono provocare un’infiammazione.

Montanari: “Negarne
 i rischi sarebbe miope”

Se qualcuno mi spara e mi trapassa il cuore, io muoio indipendentemente dalla composizione della pallottola: ferro, acciaio, ottone, titanio o legno non fa differenza. Come è universalmente valido, la particella viene sequestrata dall’organismo in qualunque organo o tessuto. Qui, da corpo estraneo, innesca una reazione infiammatoria cronica che si trasforma in un cancro. A farlo ci può impiegare un po’ di mesi o anche diversi decenni, ma lo fa”. Stefano Montanari è uno scienziato studioso di nanopatologie e questo è l’esempio che utilizza per spiegare che non è la composizione della particella a essere il fattore principale di danno per la salute umana, ma la particella in quanto tale.

Sospetti pesanti

Da esperto Montanari ha condotto due tranche di analisi sulle padelle antiaderenti giungendo in entrambi i casi ad analoghe conclusioni. Una ricerca che lascia davvero tanti dubbi: dalle 5 padelle analizzate si staccano una discreta quantità di detriti finendo nel nostro cibo, prima, e da lì nel nostro organismo. Particelle di diverse dimensioni, in molti casi anche nanoparticelle. Con quali rischi?

“Il pericolo è quello comune a tutte le particelle, e questo indipendentemente dalla loro composizione. La patogenicità è legata principalmente all’essere corpi estranei e come tali essere percepiti dall’organismo” spiega Montanari.

Di che rischi parliamo? Le polveri di cui si occupa da molti anni Montanari, e che ha rinvenuto nello strato superficiale delle padelle analizzate, sono solide e inorganiche e possono essere responsabili di numerose malattie. Quelle di cui più comunemente si parla sono parecchie forme di cancro, tra cui quelli da amianto o quelli chiamati da uranio impoverito, ma frequenti sono pure malattie cardiovascolari quali tromboembolia polmonare, infarto cardiaco ed ictus. “Come ormai ampiamente dimostrato, le particelle possono entrare nello sperma provocando sterilità maschile e una condizione irritativa nella partner sessuale chiamata malattia del seme urente (burning semen disease)”, precisa Montanari aggiungendo che “se la condizione d’inquinamento del liquido seminale è conosciuta, si può effettuarne una depurazione, il che rende possibile il concepimento”. Le polveri, poi, sono capaci di passare anche da madre a feto diventando responsabili di aborti e di malformazioni fetali senza dimenticare la lunga lista di malattie chiamate rare o orfane.

Contaminazione diffusa

Nella valutazione sulla sicurezza non si può sottovalutare anche il fatto che il nostro organismo è sottoposto a un apporto continuato di nanoparticelle: pensiamo a tutte quelle presenti nei cibi. Il problema principale è l’uso costante dei recipienti che aggiungono inquinamento a inquinamento con l’effetto sinergico che l’ag- giunta implica. “Solo per fare un esempio, ma la lista sarebbe lunghissima – conclude Montanari – nella mortadella ci finiscono infiniti frammenti di acciaio. Ma chi lo sa? In un’altra occasione, studiando un hamburger, abbiamo trovato una vistosissima presenza di particelle d’argento. Questo, forse, perché il bovino aveva mangiato fieno su cui era stato usato un composto d’argento come pesticida. E negli alimenti, è difficile trovarne uno che non sia anche solo occasionalmente inquinato”.