Quali sono i prodotti raccomandati per sanificare superfici, ambienti e vestiti? Per rispondere a queste domande L’Iss, l’Istituto superiore di sanità, ha pubblicato le “Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza Covid-19: superfici, ambienti interni e abbigliamento” che aiutano a diradare le nebbie su questioni cruciali dove spesso, in queste settimane, la confusione è regnata sovrana. Ad esempio il Gruppo di lavoro Iss Biocidi Covid-19 che ha redatto il report chiarisce che l’ozono, molto propagandato in questi mesi, per la pericolosità della sostanza e della sua gestione, “non è indicato per uso domestico“.
Il rapporto contiene molte informazioni utili a cominciare da quali sono i prodotti più indicati per il tipo di superficie. E chiarisce anche cosa si intende per sanificazione e quali sono i prodotti che garantiscono un’efficacia virucida.
Quale disinfettante per quale superficie
I principi attivi, si legge nel report, maggiormente utilizzati nei prodotti disinfettanti autorizzati a livello nazionale (Pmc, Presidi medico chirurgici) ed europeo (biocidi) sono l’etanolo, i sali di ammonio quaternario (es. cloruro di didecil dimetil ammonio-DDAC, cloruro di alchil dimetilbenzilammonio, ADBAC), il perossido d’idrogeno ,il sodio ipoclorito e altri principi attivi.
“Gli Organismi nazionali ed internazionali – proseguono le Raccomandazioni – e i dati derivanti dai Pmc attualmente autorizzati suggeriscono, come indicazioni generali per la disinfezione delle superfici, a seconda della matrice interessata, i principi attivi riportati nella tabella seguente:
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Cosa significa sanificare?
Quando si parla di sanificazione, in riferimento a normative vigenti, si intende il complesso di procedimenti ed operazioni di pulizia e/o disinfezione e mantenimento della buona qualità dell’aria. “I prodotti – si legge nel report – che vantano un’azione disinfettante battericida, fungicida, virucida o una qualsiasi altra azione tesa adistruggere, eliminare o rendere innocui i microrganismitramite azione chimica, ricadono in due distinti processi normativi: quello dei Presidi medico-chirurgici (Pmc) e quello dei biocidi. Tali prodotti, prima della loro immissione in commercio, devono essere preventivamente valutati dall’Istituto superiore di sanità o altro organo tecnico-scientifico in ambito nazionale, e autorizzati dalle Autorità competenti della Ue”.
Quanto dura il virus sulle diverse superfici?
Studi su coronavirus, non SARS-CoV-2, quali il virus della Sars e della Mers, precisa il rapporto, suggeriscono che il tempo di sopravvivenza di questi patogeni sulle superfici, in condizioni sperimentali, oscilla da poche ore fino ad alcuni giorni. Dati più recenti relativi alla persistenza del virus SARS-CoV-2 ne confermano la capacità di persistenza su plastica e acciaio inossidabile fino a 72 ore, anche se la carica infettiva sui suddetti materiali si dimezza dopo circa 6 ore e 7 ore, rispettivamente. Le superfici sulle quali si ha una minore persistenza sono il rame e il cartone, dove è stato osservato un abbattimento completo dell’infettività dopo 4ore per il rame e 24 ore per il cartone. “Un recente studio – aggiungono dall’Iss – ha valutato la stabilità del virus SARS-CoV-2 a differenti temperature, dimostrando che il virus risulta altamente stabile a 4°C, ma sensibile al calore”: a 70°C, si è valutato, il virus non è più rilevabile già dopo 5 minuti.
Nelle Raccomandazioni dell’Iss poi si fa riferimento a diversi studi per capire quanto il coronavirus può rimanere nelle diverse superfici:
Spiegano gli esperti dell’Iss: “Il virus SARS-CoV-2 sembrerebbe essere più stabile sulle superfici lisce ed estremamente stabile in un ampio intervallo di valori di pH (pH 3-10) a temperatura ambiente (20°C)”.
L’ozono? “Non in ambiente domestico”
Considerando quindi la potenziale capacità del virus SARS-CoV-2 di sopravvivere sulle superfici, è “buona norma procedere frequentemente e accuratamente alla sanificazione (pulizia e/odisinfezione) delle superfici, operazioni che devono essere tanto più accurate e regolari per superfici ad alta frequenza di contatto (es. maniglie, superfici dei servizi igienici, superfici di lavoro, cellulare, tablet, PC, occhiali,altri oggetti di uso frequente)”. Abbiamo visto che i principali Pmc e biocidi sono l’etanolo, i sali di ammonio quaternario, il perossido d’idrogeno e il sodio ipoclorito. E l’ozono? Il rapporto dedica un lungo capitolo su questo tipo di trattamento. La premessa: “L’ozono è un principio attivo ad azione ‘biocida’ in revisione” ai sensi della normativa europea sui biocidi, ovvero la Ue si deve ancora pronunciare sulla sua piena efficiacia come disinfettante. Tuttavia, prosegue il report, “sebbene la valutazione non sia stata completata, è disponibile un’ampia base di dati che ne conferma l’efficacia microbicida anche sui virus”.
Però, precisano Le Raccomandazioni dell’Iss, non può essere venduto come disinfettante: “In attesa dell’autorizzazione a livello europeo, la commercializzazione in Italia come Pmc (Presidio medico-chirurgico, ndr) con un claim ‘disinfettante”non è consentita”. Pertanto, in questa fase, “l’ozono può essere considerato un ‘sanitizzante’“.
Ma come deve essere impiegato e sopratutto può essere impiegato in ambiente domestico? Ci viene in soccorso ancora il rapporto Iss che spiega: “L’uso dil’ozono deve avvenire in ambienti non occupati e debitamente confinati. Per ridurre il rischio, possono essere predisposti dispositivi visivi in ogni puntodi accesso degli ambienti in fase di trattamento e allo stesso modo possono essere predisposti segnalatori di libero accesso. Pertanto, prima di ricorrere all’utilizzo di tale sostanza per il trattamento di locali è necessario valutare il rischio di esposizione sia degli addettialle operazioni di sanificazionesia del personale che fruisce dei locali sanificati. Gli operatori devono essere addestrati ed esperti e provvisti di idonei dispositivi di protezione individuale (DPI). Alla luce di quanto sopra non è pertanto indicato per uso domestico”.
Il rapporto prende poi in esame anche i trattamenti con cloro attivo, perossido di ossigeno per vaporizzazione e trattamento per radiazione ultravioletta per sanificare gli ambienti per le quali esprime molte riserve e criticità.
La “quarantena” per gli abiti usati
Nell’appendice al rapporto, viene poi affrontato un tema molto discusso in questi giorni e molto importante per i consumatori: come si sanificano i prodotti tessili e come i negozianti devono comportarsi con gli abiti provati in negozio.
In linea generale, rispetto ai prodotti chimici, il vapore secco è sicuramente il modo migliore per sanificare i prodotti tessili: “Qualora fosse comunque necessario – scrivono gli esperti dell’Iss – un trattamento sanificante, il vapore secco sembra essere quello consigliabile. L’utilizzo di prodotti chimici è scoraggiato per motivi legati alla stabilità dei colori, alle caratteristiche delle fibre ed al potenziale impatto eco tossicologico. Le radiazioni ionizzanti sono difficilmente esportabili a livello di attività commerciale mentre le lampade UV potrebbero essere un buon compromesso per costo-efficacia e rapidità d’uso, ma non per tutti i capi d’abbigliamento” ad esempio è sconsigliato per biancheria trattata con sbiancanti ottici e per abiti in fibre naturali dai colori accesi o intensi. E si aggiunge: “Il lavaggio dei capi, sia in acqua con normali detergenti oppure a secco presso le lavanderie professionali, è certamente una buona prassi in grado di rispondere alle esigenze di sanificazione, anche se rappresenta un processo di manutenzione straordinario”.
Ma come ci si deve comportare quando si entra in un negozio di abbigliamento e magari si provano dei capi? “Per i clienti, l’utilizzo dei guanti o la disinfezione delle mani in entrata e in uscita, l’utilizzo della mascherina e il divieto di provare gli abiti che possano entrare in contatto con il viso (ad esempio i maglioni o altri capi che vengono infilati dalla testa) limiterebbero la probabilità di contaminazione degli indumenti. Per il commerciante, non mettere a disposizione i capi provati per almeno 12 ore, mantenendoli in un ambiente con umidità inferiore a 65% e a una temperatura inferiore a 22°C, potrebbe rappresentare una ulteriore precauzione”. Insomma i capi provati andrebbe messi in… quarantena per almeno 12 ore. Succederà?