Il laboratorio di Wuhan che studiava i coronavirus creato insieme alla Francia

Dopo le ombre sollevate dal Washington Post sul laboratorio specializzato di Wuhan, sulle possibili responsabilità riguardo alla diffusione involontaria del covid-19, un lungo e approfondito servizio pubblicato sul sito del canale tv francese Franceinfo, a firma Philippe Reltien, alza il velo sul ruolo della Francia nella costruzione di quel laboratorio e sulle tante occasioni perse, snodi nella storia, in cui se non ci fosse stata una chiusura da parte della Cina, lo stesso laboratorio di Wuhan avrebbe potuto far parte di una rete internazionale, con un maggior controllo sulla qualità del lavoro svolto dentro, e forse con una tempistica di allarme sulla diffusione del virus più rapida. Riportiamo di seguito le parti cruciali dell’inchiesta di Franceinfo.

La storia inizia con la Sars

Nel 2003, la SARS, la sindrome respiratoria acuta grave colpisce la Cina. Il paese ha bisogno di aiuto. Nell’ottobre 2004, durante un viaggio a Pechino, Jacques Chirac suggella un’alleanza con il suo omologo cinese. I due paesi decidono di collaborare nella lotta contro le malattie infettive emergenti. Tale partenariato appare tanto più necessario in quanto un altro virus, quello dell’influenza aviaria, l’H5N1, colpisce la Cina.

L’idea del laboratorio P4 prende forma

Da qui nascerà l’idea di costruire a Wuhan, in collaborazione con la Francia, un laboratorio di tipo P4. In altre parole, di altissima sicurezza biologica, per lo studio di virus patogeni sconosciuti per i quali non si dispone di un vaccino. Nel mondo esistono una trentina di queste strutture, alcune delle quali sono etichettate dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Ma il progetto provoca delle resistenze. In primo luogo, esperti francesi in guerra batteriologica si mostrano reticenti. Siamo nel periodo dopo l’11 settembre. L’SGDSN (Segretariato generale per la difesa e la sicurezza nazionale) teme che un P4 possa trasformarsi in un arsenale biologico.

I dubbi francesi

A ciò si aggiunge un altro dubbio da parte della Francia. La Cina si rifiuta di precisare quali sono i laboratori mobili di biologia P3 che erano stati finanziati dal governo Raffarin dopo l’epidemia di SARS. “I francesi si sono un po’ raffreddati per la mancanza di trasparenza dei cinesi”, spiega Antoine Izambard, autore del libro I legami pericolosi. ” Le loro spiegazioni sono rimaste oscure sull’uso che potevano fare dei laboratori P3. Alcuni nell’amministrazione francese pensavano quindi che la Cina avrebbe fatto sicuramente un uso simile del P4. Ciò suscitava molti timori”.

L’accordo

Ma a poco a poco, queste riserve vengono tolte. E nel 2004, un accordo firmato da Michel Barnier, ministro della Salute di Jacques Chirac, lancia il progetto del P4 cinese. Resta da trovare un luogo. Poiché Shanghai è troppo popolosa, questo laboratorio sarà installato alla periferia di Wuhan. Una quindicina di piccole e medie imprese francesi molto specializzate prestano allora il loro contributo per costruire il laboratorio. ” Questi laboratori P4 sono veramente tecnologia di altissimo livello, paragonabile a quella dei sottomarini nucleari francesi per quanto riguarda l’impermeabilità di alcune parti”, precisa ancora Antoine Izambard. Ma saranno le imprese cinesi a garantire la maggior parte della costruzione, cosa che non sempre piace ai francesi. Technip, per esempio, rifiuterà di certificare l’edificio.

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L’edificio simile a un carcere

Il 31 gennaio 2015 il cantiere termina finalmente. Nel suo libro, Antoine Izambard descrive un luogo austero. ” Al termine di una strada a sei corsie”, scrive, si trova “un enorme edificio in mattoni rossi in costruzione, [destinato ad accogliere 250 ricercatori in residenza], un altro altamente sicuro che si potrebbe scambiare per una prigione [un bunker di quattro piani con quattro laboratori stagni]e un ultimo bianco e rettangolare su cui è scritto ‘ Wuhan Institute of Virology’.”

I cinesi riprendono il controllo

Nel 2015, Alain Mérieux lascia la copresidenza della Commissione mista che supervisionava il progetto. All’epoca, spiega al microfono di Radio France a Pechino: “Lascio la copresidenza del P4, che è uno strumento molto cinese. Appartiene loro, anche se è stato sviluppato con l’assistenza tecnica della Francia”. Ma non per questo si tratta di tagliare tutti i collegamenti. ” Tra il P4 di Lione e il P4 di Wuhan, precisa, vogliamo stabilire una stretta cooperazione. In Cina ci sono molti animali, l’avicoltura, i problemi dei maiali, che a loro volta sono portatori di virus. È impensabile che la Cina non abbia un laboratorio di alta sicurezza per isolare nuovi germi, molti dei quali di eziologia sconosciuta.”

La collaborazione interrotta

Il 23 febbraio 2017, l’ex primo ministro Bernard Cazeneuve e il ministro della Salute Marisol Touraine annunciano che 50 ricercatori francesi verranno in residenza al P4 di Wuhan per cinque anni. La Francia si impegna quindi a fornire competenze tecniche e formazione per migliorare il livello di biosicurezza del laboratorio e ad avviare un programma di ricerca comune. Ma i ricercatori francesi non arriveranno mai. In ogni caso, l’entrata in funzione del laboratorio avviene nel gennaio 2018. Essa coincide con la prima visita di stato di Emmanuel Macron a Pechino. Ma fin dall’inizio c’è un dubbio sulla sua affidabilità. Secondo il Washington Post, nel gennaio 2018, membri dell’ambasciata americana visitano i locali e avvertono Washington dell’inadeguatezza delle misure di sicurezza adottate in un luogo dove si studiano i coronavirus derivati da pipistrelli. Altro sconcerto: la cooperazione franco-cinese sperata tra il P4 Jean Mérieux-Inserm di Lione Bron e quello di Wuhan non inizierà mai veramente. Contrariamente alle promesse iniziali, i cinesi lavorano quindi senza uno sguardo esterno di ricercatori francesi. ” Il laboratorio è lungi dal funzionare a pieno regime”, precisa ancora Antoine Izambard. “Hanno costruito un enorme edificio che deve ospitare 250 ricercatori, ma non sono ancora arrivati. In circostanze normali, ci sono solo alcuni ricercatori cinesi dell’Istituto di virologia di Wuhan che conducono ricerche su animali in relazione a tre malattie , Ebola, la febbre emorragica Congo Crimea, e NIPAH [un virus veicolato da maiali e pipistrelli]”.

Una nuova occasione persa

Prima della crisi del Covid-19, è sembrato che un’altra collaborazione volesse prendere forma. Nel 2019, il presidente cinese Xi Jinping chiede a uno dei vicepresidenti del comitato permanente dell’Assemblea popolare di immaginare quale potrebbe essere uno scudo sanitario per la provincia dello Yunnan. Lì ci sono molti uomini che vivono con gli animali selvatici. Da questa promiscuità nasce il rischio di comparsa di nuovi virus trasmissibili all’uomo. ” È un grande paese che ha molto sconvolto i suoi ecosistemi con coltivazioni e allevamenti giganteschi”, conferma Gilles Salvat, medico veterinario e direttore generale della ricerca all’Anses.

La rete salta

Pertanto, la creazione di un centro di monitoraggio nella regione più vasta potrebbe prevenire lo sviluppo di nuovi virus, ad esempio coronavirus. Secondo un media cinese online, China-info.com, un progetto sta prendendo forma. Si tratta di creare una rete sentinella che riunisca gli Instituts Pasteur France, con antenne della Fondazione Mérieux in Laos, Cambogia e Bangladesh. Ma ancora una volta, l’entusiasmo sarà di breve durata. Il 24 marzo Xinping, Emmanuel Macron e le loro mogli cenano a Villa Kerylos sulla costa azzurra. Il giorno dopo, il comunicato finale non fa alcuna menzione di questo progetto. Non sarà neppure menzionato durante il viaggio ufficiale in Cina di Emmanuel Macron nel novembre 2019. È vero che c’è un altro argomento delicato che sta focalizzando l’attenzione. La peste suina è arrivata in Francia e gli allevatori stanno esercitando pressioni per poter continuare ad esportare in Cina. Lo scudo sanitario sarà quindi rinviato.

Un vaccino testato sugli esseri umani

Il P4 di Wuhan non sarà tuttavia rimasto inattivo al momento della comparsa del Covid-19. È qui che, secondo due fonti attendibili, benché non confermate dalle autorità cinesi, alla fine di dicembre 2019 il professor Shi zhengli ha identificato il nuovo coronavirus a partire da campioni prelevati da cinque malati degli ospedali municipali di Wuhan. Il 3 gennaio, il sequenziamento completo del suo genoma inizia in un altro laboratorio, il P3 della Clinica Centrale di Sanità Pubblica di Shanghai, che lo condividerà poi con altri paesi. Allo stesso tempo, il P4 di Wuhan sta lavorando su una scimmia cavia infetta, al fine di ottenere un siero. ” I cinesi sono buoni candidati per produrre un vaccino”, afferma Gilles Salvat. “Hanno studenti in tutto il mondo. Hanno 40 ricercatori su un soggetto quando ne abbiamo due. La loro potenza di fuoco è formidabile in termini di innovazione e biologia”, commenta.

Ufficialmente il P4 chiude il 23 gennaio, quando il confinamento è pronunciato a Wuhan. Ma secondo diverse fonti francesi e cinesi contattate dalla cellula investigativa di Radio France, a metà marzo si è svolto un esperimento di vaccino in partenariato con una società di biotecnologia cinese. Secondo le nostre informazioni, un virus è stato prima inoculato alle scimmie, poi inattivato e poi iniettato al personale volontario dell’istituto da cui dipende il laboratorio. ” I primi inoculati sono volontari e le cose sono andate bene”, ha confermato il dottor Zhao Yan, che codirige l’ospedale Zhongnan di Wuhan: “Ci sono medici che partecipano. So che c’è stata una prima serie di un piccolo numero, e una seconda serie di prove è in corso su un numero relativamente grande”. Secondo Frédéric Tangy dell’Istituto Pasteur, tuttavia, per questo tipo di vaccino da virus inattivato, “c’è un rischio di esacerbazione della malattia. È una catastrofe. È la cosa peggiore da fare”.